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mercoledì, 18 Dicembre, 2024

Zitti e muti e facciamo tutti silenzio. E staremo meglio

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di Martina Grandori

Silenzio come ascolto perché è assenza di suoni, di interferenze, di rumori. Silenzio come status mentale di grande spiritualità. Complesso riuscire a darne una definizione, le sfaccettature sono tante come quelle di un diamante. Paradossalmente silenzio per ascoltare veramente cosa accade dentro di noi, quel rumore apparentemente silenzioso dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre inquietudini, delle nostre paure. In fin dei conti tutti, o quasi, abbiamo bisogno di silenzio, cerchiamo la chiave della porta d’accesso alla pace, il mondo occidentale da decenni ha fatto delle cuffie, e poi negli ultimi anni degli auricolari, la soluzione per estraniarsi dall’assordante confusione quotidiana con l’ascolto di musica e playlist tailor made. Le vacanze in cui il corso di yoga o di meditazione diventano il leitmotiv sono sempre più diffuse, non sono più idee strampalate appalto di hippie o salutisti.

È caccia al silenzio, l’uomo in fin dei conti ne ha bisogno, in primis per quella attività vitale che è il sonno, in secundis per pensare, lavorare, studiare, elaborare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’inquinamento acustico una piaga moderna, esistono prove indiscutibili di come l’esposizione perenne al rumore abbia riflessi sfavorevoli sulla salute della popolazione, in India una piccola frangia di attivisti è già scesa per le strade a rivendicare il diritto al silenzio, le città sono frastornanti per via dei clacson e del traffico.

Ed è così che la tecnologia annusa odor di business e si avvia a mettere sul mercato dispositivi per insonorizzare gli ambienti cercando di assorbire quanto più energia sonora possibile e schermando le stesse unità ambientali con “involucri” fonoisolanti. Per dare un’idea di come sia diventata ormai una mania di wellness, un vero business, l’ufficio del turismo della Finlandia., per attirare visitatori, ha lanciato uno slogan Silent please, accompagnandolo con scorci di natura incontaminata. In Scozia i monaci benedettini di Pluscarden Abbey, organizzano retreat all’insegna del silenzio totale per manager stressati.

C’è sempre più un’elevata richiesta di recuperare contesti là dove ci si possa riavvicinare a quello status privilegiato che è il silenzio, non è un caso che sia sempre maggiore l’offerta di veri e propri ritiri in posti dove il silenzio è un comfort garantito, quasi fosse un silenzio che si compra con un click, un silenzio a telecomando. E questo fa riflettere, perché il silenzio non lo si raggiunge comprando un voucher on-line per una vacanza diversa.Il silenzio è l’antitesi del rumore, il silenzio è saper ascoltare, è una forma sfumata di rinuncia, è saper mettere davanti a sé qualcuno e ascoltarlo. Silenzio è il preludio della parola, quel frangente indispensabile alla nostra mente per poter ascoltare ed elaborare.
“Non c’è parola senza silenzio, come se il silenzio diventasse la punteggiatura di un discorso” scrive l’ antropologo e sociologo francese David Le Breton nel suo saggio Sul silenzio. Fuggire dal rumore del mondo. 

In sostanza Le Breton ci mostra come il silenzio per la società contemporanea sia un bene che vada riconquistato. In una semplice conversazione le pause stanno scomparendo, siamo tutti più preoccupati di parlare, parlare piuttosto che stare in silenzio ed ascoltare. Le parole di Le Berton abbassano le tante luci fasulle che abbagliano gli umani, spengono i molteplici rumori che disturbano la quiete mentale, riconducono l’essere alla dimensione interiore.

Dall’esterno all’interno in un movimento d’insieme, non solipsistico, ma salutare. Sasper reggere il silenzio significa per certi versi sapersi confrontare con la solitudine, che non va scambiata con l’isolamento, ma come uno status di purificazione.Stare da soli consente di generare, saper star da soli è un passaggio fondamentale e non scontato perché ci sia un legame autentico con altri umani. Tanto è vero che solitudine, silenzio e quiete oggi sono tre parole da cui la maggior parte della società scappa a gambe levate, sono tre stati d’animo che vengono banalizzati e associati all’essere “out”.Oggi nella quotidianità la tendenza è quella di riempire il vuoto del silenzio come un sandwich dai sapori confusi, con rumori ed interferenze costringendo la parola ad una circolarità ripetitiva e infinita ma senza tanto significato.

Pensiamoci. Soprattutto in questo periodo dove la tentazione di colmare silenzi e pause con banali whatsappini o post insulsi su Instagram è ai massimi annuali.

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