di Gabriele Rizza
Le chance di un Conte ter scemano insieme alla cultura strategica – politica dei principali partiti di maggioranza, M5S e PD, incapaci di trovare una nuova sintesi politica che non verti esclusivamente sull’appoggio della figura di Conte, che è un uomo e non un’idea, che piace a molti italiani proprio per la sua immagine distaccata dalla politica e non incarna un progetto culturale e politico. Se dal M5S possiamo aspettarci un simile approccio in quanto proclamatosi eroe dell’antipolitica, dal PD emerge tutta l’escalation che ha portato al definitivo depauperamento di contenuti, visioni e punti di riferimento identitari. Se volessimo incarnare in una figura umana la situazione in cui versa il maggior partito di sinistra italiano, erede del PCI, non si può che prendere a modello il segretario Nicola Zingaretti.
Certo, come per tutte le faccende di palazzo, l’appoggio quasi fideistico a Conte è di comodo: su di lui si possono scaricare le brutte notizie e fa comodo la sua aurea al di sopra delle parti. Quando però le cose comode sono in bilico in politica occorrono anche le idee, e Zingaretti non le ha. Basti ricordare gli appelli, per mezzo anche di Barbara D’Urso ai senatori indecisi: “ci rivolgiamo ai liberali, europeisti democratici e responsabili, bisogna tenere fuori la destra sovranista”, perché il massimo della percezione della realtà e della proposta politica della sinistra è diventata presentare un male che incombe. Per un anno il male è stato il coronavirus, ora che la crisi da sanitaria ed economica diventa politica, il pericolo della destra sovranista può tornare di moda. Zingaretti dimentica però la batosta del PD presa alle elezioni del 2018, quando la campagna elettorale si fondava sul pericolo del ritorno del fascismo e non sui pericoli che serpeggia nella vita in ogni città italiana, come disoccupazione, disservizi e malesseri sociali. Anche il concetto di “europeisti” si svilisce, diventando la nuova veste democristiana e responsabile che giustifica il trasformismo, riportando l’Italia ai tempi dei vecchi giochetti di palazzo, anziché ancorarla ad una cultura politica ragionata, sentita e valorizzata. Il risultato di questa cultura europeista di comodo e di nome è il prestito di una senatrice del PD al nuovo gruppo Europeisti guidato da Tabacci.
Del resto quando in politica si sentono parole dal valore generale e buone per tutti, come l’onestà dei Cinque stelle, l’europeismo e la democrazia di Zingaretti, ci si aspetti sempre un carrozzone pieno di interessi, agi e ambizioni personali. La banalità della bontà, la banalità dei senza idee, le poltrone di chi non vuole perderle.