Ho provato a sostare sulla soglia immaginaria tracciata temporaneamente da un dipinto di Angelo Bartolini, dove paesaggi, nature morte, figure, oggetti ed eventi della quotidianità scambiano la loro presenza con macchie di colore, con astratte impronte del pensiero, che si organizzano nella trama di un disegno rapido che sfugge anche alla superficie.
Il movimento della pittura del maestro emiliano di Borghi non ha nulla di casuale, anzi persino il caos di una caduta di foglie autunnali o di una mareggiata ritrova sempre una sua ragione di realtà nel perimetro squadrato della tavola, nello spazio metastorico che un cavalletto di legno, venerato a mo’ di ara sacrale, evidenzia. Per l’artista avrebbe detto Pessoa “non c’è altro problema se non quello della realtà e questo è insolubile e vivo”.
La mostra organizzata dall’associazione Angeli Scalzi ricostruisce, attraverso una selezione di circa quaranta opere, tutte ispirate all’autunno, un momento rappresentativo dell’esperienza creativa dell’artista: essa propone cioè, quel processo di lenta e silenziosa crescita, partendo dalle opere realizzate in quell’aria di novità che si inspirava agli anni di Novecento, vivificata dalle tensioni sobillate dalle attività e dalle aperture internazionali, avviate dal Vedutismo, dalla Metafisica, dal Realismo, ovvero dalle figure che disegneranno la silhouette delle Avanguardie Storiche. Un momento ricco di personalità e di situazioni che proiettano l’Italia nel circuito delle esperienze europee, allertando una tensione che ritrova, negli anni Settanta in quel breve periodo di ritorno alla pittura, il suo maggiore sviluppo in senso di apertura dialettica verso la sfera della sperimentazione, proiezione di quel progetto di avanzamento, di sentita ed effettiva connessione del pittore con gli sperimentalismi e l’ambiente avvertito quale spazio della propria identità esistenziale. Un’opera segna sempre un nuovo confine, una finestra che si apre al mondo, una soglia oltre la quale andare con l’emozionato respiro che accompagna la scoperta. Angelo Bartolini lavora su questo confine, regalandoci pagine di pittura, di quella alta che non perde lo spirito e la volontà di dialogare con la quotidianità del mondo, cioè di dichiarare la sua necessità del presente: una pittura che non è solo la celebrazione dell’enigma della visibilità, bensì partecipata testimonianza, ossia azione diretta orientata a smuovere le nostre coscienze.
Ragiona sulla pittura come idea di materia che costruisce uno spazio così come, in senso inverso, ripropone l’elemento naturale quale evocazione: cerca cioè di rendere lo spazio pittorico come un campo ove accade un evento, ove è possibile sentire contemporaneamente il tempo passato e quello del presente. La sua tavolozza è piena di colori sempre tonali e bilanciati, Bartolini ama la pittura senza giochi e senza ironia, predilige la robustezza, il rigore e la poesia.
Ogni rassegna d’arte, come questa organizzata a Villa Clerici in Cuggiono, induce a qualche considerazione sulla pittura, sulla sua validità e quindi sulle circostanze che consentono di valutarne gli effetti. La mostra dedicata ad Angelo Bartolini mi pare che vada oltre la tipologia puramente informativa assumendo una funzione più complessa e per, alcuni versi, direi esemplare.
Chiarisco meglio citando un mio vecchio saggio con un titolo significativo e un sottotitolo molto esplicativo: “La pittura è di nuovo fra noi”. “Nuovi artisti riconquistano una pratica come gesto scandaloso”.
Nello stigmatizzare il dilagare nell’arte contemporanea di installazioni, assemblage, videoinstallazioni, reading, site specific, insomma di tutto quell’insieme di attività del “contemporaneo”, che nulla hanno a che fare con la pittura, ho voluto mettere in evidenza alcuni recenti e positivi segni d’inversione di tendenza.
Insomma, dipingere oggi sembra una provocazione, una sfida, qualcosa che addirittura fa scandalo. E’ cosa di cui dovremmo vergognarci. Intanto, la pittura continua a essere sempre apprezzata. Tira, vende e non solo perché trionfa nelle maggiori fiere o dove il collezionismo si orienta su autori di opere che non è possibile esporre in casa.
Ecco le ragioni per cui ho definito la mostra esemplare: la qualità delle opere tutte dedicate a temi autunnali, la possibilità di un confronto diretto con una stagione eroica della pittura che può essere portata ad esempio presso le nuove istanze, un itinerario di ricerca di un artista, messo in mostra oggi, con i suoi novantadue anni, in modo esegeticamente didattico.
Tutto questo corrisponde pienamente alla figura di Bartolini, eccellente pittore e attivo sostenitore della funzione sociale e poetica della bellezza.
Questa sua visione dell’arte, condotta con rigore etico e determinazione, è la chiave della sua pittura dove non mancano aspetti davvero emozionanti. Penso a quel personalissimo modo, testimoniato da molte opere, col quale struttura certe composizioni; esso si manifesta quale metamorfica risoluzione di antinomie tra il paesaggio e la sua trasformazione.
E che dire dell’impianto compositivo, saldamente strutturale, di quei dipinti che sono il risultato di una personale poetica architettonica e di un rapporto tra razionalità geometrica e pulsione pittorica? E’ proprio la qualità delle stesure cromatiche, con il loro duttile e progressivo ispessimento materico, che accentua il gioco delle forme, dando luce e forza plastica ed espressiva alle opere.
Su queste cose si sviluppa la salda ricerca di Angelo Bartolini che, con la finissima qualità della sua pittura resa da una straordinaria vocazione cromatica, ha lasciato tracce davvero durevoli: tracce artistiche, tracce esistenziali che testimoniano la pienezza della sua vita, poiché – come sostiene Derrida – “Vivere è lasciar tracce”.
Pasquale Lettieri
[Best_Wordpress_Gallery id=”9″ gal_title=”Bartolini”]