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sabato, 23 Novembre, 2024

VISCO DÀ LA SVEGLIA. LE IMPRESE NON SI FOSSILIZZINO SUI MINORI COSTI, MA CHIEDANO INNOVAZIONE

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di Mario Alberto Marchi

Siamo qui che ancora non capiamo se i segnali di ripresa ci sono o no, che ancora non sappiamo bene da che parte prendere l’autunno che è alle porte, e arriva pure lui, il Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, a ricordarci quanto stiamo messi male.

In effetti, l’intervento di Ignazio Visco all’Euroscience Open Forum (Esof) di Trieste, ha portato tutto fuorchè una ventata di speranza, ma a volte avere le idee chiare sulla condizione che si sta vivendo è doloroso, ma utile.

Visco ci ha ricordato che il pil pro capite italiano ha fatto uno scivolone indietro di 30 anni, e il motivo non è solo la crisi economica dovuto alla pandemia, visto che nessun’altra grande economia ha registrato un calo del genere.

Lasciando perdere per una volta i governi dagli anni ’90 ad oggi, con le loro colpe e volte vere follie, il numero uno di Bankitalia non si fa riguardo a fotografare i difetti della nostra impresa e afferma che il difetto è nella “capacità delle imprese di introdurre buone pratiche manageriali, adottare nuove tecnologie per sviluppare innovazione e investire in capitale umano. Queste caratteristiche delle nostre industrie influenzano profondamente la produttività media dell’economia. Le imprese italiane più grandi sono spesso più produttive delle corrispondenti imprese francesi e tedesche, ma il gruppo molto numeroso di imprese più piccole è molto meno produttivo e fa scendere la media”.

Attenzione, dunque, perchè siamo davanti ad una narrazione ben diversa da quella corrente che vede la nostra piccola impresa, solida ossatura del sistema economico. L’istinto è di rispedire al mittente questa analisi così cruda, anche con un certo sdegno, ma vale la pena di capire meglio; Visco dice che fin dall’inizio della richiesta d’innovazione tecnologica, la reazione delle nostre imprese è stata la richiesta di costi del lavoro più bassi, invece di agevolare gli investimenti nelle nuove tecnologie che avrebbe creato domanda di lavoro altamente qualificato, maggior produttività e redditività, presumibilmente costi totali minori.

A leggerla in modo “politico”, si potrebbe dire che le imprese hanno seguito il sindacato nel fossilizzarsi su un aspetto che non sarebbe nemmeno il più grave. Quando parliamo di costo del lavoro – infatti – le statistiche europee ci dicono che non sembra trattarsi proprio di un’emergenza.

Secondo il più recente rapporto dell’Ocse Taxing Wages 2019, in Italia la busta paga media è tassata del 47,9 per cento. Tanto, certo, ma la Germania ci supera di due punti percentuali e la Francia ve meglio di noi solo dello 0,3%.

Allora sarà colpa della parte salariale?

Decisamente no, visto che il costo complessivo del lavoro ci vede di pochissimo sopra la media europea, e Germania e Francia hanno entrambe dati di molto superiori. La sottrazione ci dice – semmai – che i nostri salari sono bassi.

Bene, quel che ci dice Visco è che salari bassi non possono che corrispondere a profili professionali bassi, in un loop che trascina in giù la produttività; la via d’uscita può essere solo l’innovazione.

Sia chiaro, non si chiede alle imprese d’innovare con soldi che non ci sono, ma di farne il vero campo di confronto con i governi.

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