Il 2022, e parte de 2023, sono stati periodi caratterizzati da un certo grado di violenza: reati vari, aggressioni e minacce hanno fatto da scenario a questo lasso temporale, ma ciò che più emerge dalle statistiche è l’alto numero di casi di violenza psicologica.
In molti, infatti, specialmente donne e bambini, si sono ritovati ad essere vittime di situzioni di disagio psicologico, agito per mezzo di minacce ed intimidazioni verbali, utilizzate come strumento di oppressione e costrizione, finalizzate a condurre la propria vittima verso la sua totale distruzione mentale.
La violenza psicologica, a differenza di quella fisica, non lascia segni tangibili, ma i traumi psicologici che ne derivano, con annessi stati di ansia e depressione, non sono assolutamente da sottovalutare, anzi, il più delle volte sono più difficili da curare rispetto a pugni e ai graffi.
Spesso la vittima non riconosce fin da subito la violenza che sta subendo; emerge infatti la sua necessità di rimanere accanto al proprio “carceriere” come atto masochistico, senza sapere che, in realtà, è soltanto il risultato del plagio al quale la vittima è sottoposta. Essa, infatti, sentendosi impotente e spesso inutile, non riesce a reagire.
La violenza psicologica può avere diverse forme. Si parla di mobbing o di bossing, quando viene esercitata dai datori di lavoro nei confronti dei dipendenti.
Si definisce, invece, violenza domestica, quella agita da uno dei due componenti della coppia, che spesso sfocia sui minori, utilizzati come bersagli o testimoni.
Anche la mafia, la camorra, la ndrangheta, utilizzano la violenza psicologica come arma nella loro guerra
Il primo che parlò di violenza psicologica fu Albert Birdman nel 1957, identificando almeno 15 categorie di aggressioni verbali, dalla forma più lieve, in cui viene utilizzato un tono alto di voce e che porta alla mancata voglia di ascoltare l’altro, a quello più evidente, che rappresenta un vero e proprio plagio, situazione in cui l’aggressore manca empatia ed è convinto che ciò che sta facendo è per il bene della sua vittima.
Spesso, chi esercita violenza psicologica, necessita di avere il totale controllo degli spazi, degli spostamenti, delle frequentazioni, e non solo, della sua vittima e il più delle volte cerca di manipolare perfino le emozioni di quest’ultima, tanto da da indurla a provare i sentimenti che lui stesso vuole che provi.
Nel peggiore dei casi, il manipolatore induce la sua vittima all’isolamento, poiché essa gli è legata da un rapporto di dipendenza. Il carnefice, attraverso l’utilizzo di minacce ed intimidazioni, conduce la vittima verso il consenso totale di ciò che le viene chiesto.
La violenza psicologica non si riduce solo ad uno squilibrio mentale, ma crea problemi anche al sistema cardiovascolare e a quello immunitario. Tale relazione, tra problemi psichici e sintomi fisici, prende il nome psiconeuroendocrinoimmonulogia.
Per quanto possa essere giudicata a livello giuridico, la violenza psicologica è ancora lontana dai canoni valutativi e penali utilizzati per gli altri crimini.
Mobilitazioni, social, associazioni, hanno sempre più l’obbiettivo di limitare tale crimine, così da non far sentire le vittime di violenza psicologica sole ed emarginate.
di Daniela Buonocore