di Alessandro Giugni
Con l’ennesima Cabina di Regia – termine al solo udire il quale la quasi totalità degli italiani è ormai portata a compiere gesti apotropaici di variegata natura – tenutasi Giovedì 23 Dicembre, il Governo dei Migliori ha introdotto una serie di ulteriori restrizioni e nuove regole volte al contenimento dell’ondata di Omicron. Se alcuni degli effetti di tali misure sono già stati ampiamente ripresi dai giornali (code interminabili fuori dalle farmacie per un tampone, drastico calo dei consumi al banco nei bar, continue disdette delle prenotazioni per i veglioni di capodanno nei ristoranti, titolari di discoteche sul piede di guerra a seguito della disposizione di una nuova chiusura di queste ultime dopo pressoché due anni di totale impossibilità di lavorare), ancora ben poco si è parlato delle ripercussioni prodotte sul turismo di montagna dal “moto ondulatorio” della sempre più confusa linea di governo in tema di contrasto alla pandemia.
Per capire quanto nel profondo sia stato colpito il turismo invernale è sufficiente descrivere una singola giornata sulle montagne della Val Gardena. In primis, il viaggio che ci ha condotti da Milano a Selva è stato fonte di oscuri presagi circa quella che sarebbe stata la situazione che ci saremmo trovati di fronte una volta giunti alla meta: pochissime macchine ad affollare una A4 che, durante questo periodo, soleva essere estremamente trafficata; pressoché nessun altro avventore, poi, ci ha affiancati sull’Autostrada del Brennero.
In secundis, il parcheggio dell’hotel non ha fatto altro che confermare l’impressione maturata nei due rami autostradali percorsi: poche, pochissime auto, scarsamente sufficienti ad occupare uno dei tre rami sotterranei disponibili per la sosta dei veicoli. Ma il peggio doveva ancora arrivare.
La mattina seguente, giunti sulle piste, ecco rivelarsi in tutta la loro drammaticità gli effetti dei continui dietrofront governativi: all’accesso agli ski-lift vi erano pochissime persone, tra le quali, poi, impossibile non notare la pressoché totale assenza di italiani, all’interno dei rifugi più controlli che frequentatori, sulle piste, infine, sembrava di trovarsi di fronte allo spettacolo del deserto, dato lo scarso numero di sciatori intenti ad affrontare le discese.
È stato sufficiente scambiare due parole con alcuni degli addetti ai lavori per capire quale sia lo stato d’animo di chi vive di turismo: la sensazione più diffusa è quella non solo di essere stato abbandonati (nuovamente) dallo Stato, ma anche e soprattutto serpeggia la consapevolezza di essere stati turlupinati doppiamente, non essendo stata, da un lato, ufficialmente disposta alcuna chiusura, a differenza dello scorso anno, ma, dall’altro lato, essendo stato fatto tutto il possibile per disincentivare il turismo di montagna, danneggiando, così, due volte gli operatori del settore, i quali si trovano non solo a ospitare pochi turisti, ma anche e soprattutto a dover sostenere tutti i costi connessi all’apertura (accensione degli impianti, mantenimento in ordine di alberghi semi-deserti etc) senza poter sperare in alcun ristoro.