“Lo stato non deve occuparsi di etica” è un tormentone che si sente ogni volta che si parla di temi “scottanti”. L’ultimo caso in ordine di tempo è stata la proposta, in Olanda, di una legge sul suicidio assistito che ha generato forti polemiche tra chi, in nome della libertà individuale, è favorevole e chi invece trova che sia indecente che uno stato riconosca il suicidio come una scelta qualunque, neutra, al punto tale da fornire i mezzi per realizzarlo a chi lo desiderasse. Chi scrive è della seconda opinione. Uno stato civile dovrebbe aiutare le persone a risolvere i problemi che le portano a pensare di porre fine alla propria esistenza e non certo fornire loro i mezzi per farlo! Ma non è questo il tema della mia riflessione odierna.
Lo “stato etico”, ovvero quello stato che legifera sulla base di principi etici, è stato spesso attaccato da più fronti. I primi a vederlo come negativo sono stati quei pensatori liberali che vedevano la morale e l’etica come cose “private” e volevano limitare il ruolo dello stato il più possibile. Da sempre, nel nostro paese, queste idee le ha portate avanti il Partito Radicale. Oggi anche molti pensatori e attivisti “di sinistra” (il virgolettato è d’obbligo in Italia) sono schierati su queste posizioni.
Ma siamo sicuri che non si tratti di un falso problema? Si pongono infatti due domande cruciali: uno stato che non agisca secondo principi etici è possibile? E, ammesso che lo sia, un simile stato è auspicabile? A mio parere la risposta a entrambe le questioni è un no secco.
Partiamo dalla prima domanda: uno stato non etico è possibile? Credo che l’errore di fondo di chi pensa che lo sia, sia il ritenere la gestione dello stato come una cosa “tecnica” e non ideologica. In realtà, in politica e in economia non esiste qualcosa che non sia ideologico. Ogni modello sociale, economico, politico è basato su delle idee che sono frutto del pensiero e della cultura di una certa società e che non possono essere ritenuti validi universalmente. Il nostro sistema elettorale, ad esempio, che in Occidente funziona e garantisce una certa libertà e un certo rispetto dei diritti, si è rivelato disastroso in alcuni paesi del terzo mondo, dove ha portato a guerre e stragi. Tutta la retorica sui “governi tecnici” e sull’impossibilità di una società diversa da quella attuale sono solo mera propaganda di chi vuol far passare come ineluttabile e inevitabile ciò che, invece, è semplicemente il suo privato interesse.
È in un contesto del genere che si inserisce l’idea (anche in buona fede) dello stato “non-etico”. Solo in una società retta da meccanismi inevitabili (“naturali” come avrebbero detto economisti del calibro di Ricardo) è possibile pensare che si possano fare scelte non influenzate dall’etica, poiché solo in un contesto del genere esistono sistemi e meccanismi che non essendo frutto di scelta non possono essere definiti ideologici e quindi, in qualche modo, etici. Nella realtà dei fatti, però, tutte le leggi e le dinamiche politiche sono frutto di una scelta e una scelta ha, per forza, una natura etica.
Il recente Job’s act, per fare un esempio, è ben più di un “banale” piano per il lavoro. È una dichiarazione di intenti per la società e una dichiarazione di valori da un punto di vista etico. Con quelle scelte il governo Renzi ha dichiarato al mondo quali sono i valori di riferimento della sua azione, privilegiando in tutto la grande impresa e distruggendo la già scarsa sicurezza dei lavoratori. Una scelta, questa, che mette moltissime famiglie in difficoltà, che impedisce a molti di pensare al futuro, di pensare di potersi creare una famiglia, di poter avere figli. Chi può pensare di mettere al mondo un figlio quando non sa nemmeno se potrà mangiare il mese successivo? E tutto ciò ha delle implicazioni etiche non da poco, visto che si tratta di una sola delle possibili scelte e non dell’unica via possibile. Del resto se fosse davvero l’unica possibilità non ci sarebbe tutto questo bisogno di ribadirlo.
Uno stato non etico è dunque semplicemente impossibile. Ogni scelta dello stato, ogni legge, ogni azione di governo ha delle implicazioni etiche. La questione quindi non è se lo stato debba o non debba seguire dei principi etici, ma quali principi debba seguire.
E veniamo alla seconda questione. Anche se tutto ciò detto fino ad ora fosse falso e uno stato non etico fosse possibile, sarebbe auspicabile? Anche qui il mio no è netto. Senza etica cosa rimane? Rimane il cinico e becero interesse del più forte (si rivedano certi discorsi sulla “relatività” dell’onestà). Senza considerare che proprio sui principi etici si basa gran parte (se non tutto) il sistema penale degli stati. Nel momento in cui uno stato condanna con una legge l’omicidio, tanto per dirne una, sta facendo una scelta di campo etico. Il fatto che tale scelta ci sembri ovvia e non crei polemiche non la rende meno etica, ma solo basata su un principio maggiormente condiviso. Condannare l’omicidio significa attribuire un valore morale (ma sì, usiamola questa parola) alla vita umana, valore morale che non possiamo dare per scontato. Se lo fosse non servirebbe una legge contro l’omicidio.
E se l’omicidio è da tutti condannato, altri reati creano maggiori divisioni. Lo stupro, ad esempio, fu ritenuto “reato contro la morale” e non “contro la persona” fino al 1996. Su tale questione si scontravano due visioni etiche diverse: una visione più individualista che metteva al centro la dignità della vittima e una visione più comunitaria che vedeva come centrale l’ordine morale della società. Questo scontro di visioni si protrasse nel nostro paese per decenni su questioni di grande importanza come il delitto d’onore, il matrimonio riparatore e, infine, lo stupro come reato contro la persona. E ancor oggi c’è chi condanna i diritti civili delle persone glbt proprio perché contrari all’”ordine pubblico” inteso come quell’”ordine morale” di cui si parlava.
Abbandonare la visione dello stupro come “reato contro la morale” per abbracciare quella di “reato contro la persona” non significa eliminare l’etica dalla politica, ma basarsi su un principio etico diverso.
Un punto da sottolineare è la confusione fatta, soprattutto da certa “sinistra”, tra l’etica e la morale confessionale. Che lo stato si basi su principi etici non significa che debba imporre la morale cattolica (o di qualunque altra religione), ma solo che debba avere un sistema di principi e di valori il più possibile condivisi a cui appoggiarsi. In tal senso si riscontra una certa incoerenza da parte di chi chiede uno stato non etico ogni volta che un cattolico critica una legge come quella sul suicidio assistito per poi chiedere una legge contro l’omofobia o contro il razzismo. Condannare l’omofobia (o il maschilismo, o il razzismo, o l’odio religioso…) non è forse l’affermazione di un principio etico? Nel momento in cui si afferma che un aggressione a sfondo omofobico (o maschilista, o razzista, o religioso…) è più grave di un’aggressione per una lite qualunque o per rubare il portafogli, non si sta forse stabilendo una gerarchia di valori etici? E non è forse auspicabile che ciò accada?
Il problema vero, dunque, è comprendere quali debbano essere quei principi basilari su cui deve basarsi l’azione dello stato e dei suoi organi. Ogni paese ha un suo percorso storico che lo ha portato a essere quel che è. L’Occidente (e anche l’Italia) ha abbandonato lo stato assolutistico, che imponeva anche la religione e la morale, per seguire la via della democrazia e della laicità, in nome di principi etici come la libertà, la dignità dell’individuo, i diritti umani. Quali siano poi le forme e i limiti di ogni principio e della relativa azione deve essere la società stessa a stabilirlo, attraverso il dialogo democratico e la partecipazione. Non esiste un modello che accontenti tutti e che rappresenti tutti. Ogni modello è particolare e nasce da una visione del mondo particolare. Possiamo però sforzarci di creare un sistema che sia il più possibile inclusivo e che permetta a tutti di vivere al meglio secondo le proprie inclinazioni, credenze, idee. Ma anche questa, piaccia o meno, è una scelta etica.
Enrico Proserpio