17.1 C
Milano
giovedì, 19 Settembre, 2024

UNA VITA PER IMMAGINI. Il racconto delle piogge monsoniche negli scatti di Steve McCurry – Parte 2

- Advertisement -spot_imgspot_img
Annunci sponsorizzatispot_imgspot_img

di Alessandro Giugni

Nel precedente articolo di questa rubrica abbiamo ripercorso la prima parte del lungo viaggio compiuto, tra il 1983 e il 1984, da Steve McCurry al fine di documentare la stagione dei monsoni nel subcontinente indiano.

Poco tempo dopo aver immortalato un anziano sarto immerso fino al collo nell’acqua che aveva invaso le strade di Porbandar, il fotografo americano si ritrovò a dover fronteggiare una delle più consistenti e devastanti piogge che si sia mai abbattuta nel più piccolo stato federato dell’India, Goa. McCurry aveva già attraversato, all’inizio del suo viaggio, la zona montuosa che si trova a poca distanza dalla città di Panaji e null’altro aveva trovato se non un fievole ruscello. Questa volta, però, la situazione era ben diversa.

Le incessanti piogge avevano dato vita a un’imponente cascata di acqua mista a fango e il passaggio da una sponda all’altra del letto del fiume che si era creato alla base della cascata stessa era reso possibile soltanto da un minuto ponticello in legno. È in uno scenario di tal genere che McCurry scatta una delle sue più celebri fotografie, divenuta copertina del volume I giorni del monsone, edito da Rizzoli nel 1989 (potete visualizzarla interamente cliccando qui). A poca distanza dal fotografo, due ragazzi cercavano di guadare le acque del fiume in piena camminando scalzi sui sassi. Il contrasto tra le forze in campo, da una parte i due uomini e dall’altra la gigantesca massa d’acqua, viene ulteriormente accentuato da un dettaglio: uno dei ragazzi teneva in mano un ombrello rivolto verso la cascata, un gesto forse involontario e che non può che far riflettere circa l’impossibilità per l’essere umano di difendersi dalla furia della natura. La maestria di McCurry si manifesta nella capacità di conferire a una situazione tanto drammatica una leggerezza indescrivibile, riuscendo a creare con quell’unico scatto, in un delicato gioco di equilibri compositivi e cromatici, una scena nella quale i protagonisti sembrano danzare.

Una fotografia questa per la realizzazione della quale il fotografo americano mise a rischio la propria vita. Pochi istanti dopo aver premuto il pulsante di scatto, infatti, le assi del ponticello sul quale poggiava i piedi cedettero ed egli cadde, finendo per battere la testa contro alcune rocce. Al suo risveglio, la scena che gli si parò davanti fu orripilante, come da lui stesso più volte raccontato durante le interviste. Vicino a lui, in un angusto corridoio di un ospedale, c’erano due uomini, uno, al quale era appena stata amputata una gamba, che urlava disperatamente, l’altro ammanettato a un lettino imbevuto di sangue. Nella confusione generale, alcune suore correvano senza sosta passando da un malato all’altro. Vedendo che si era risvegliato, i medici lo condussero fino alla sala dedicata alle radiografie, ma il fotografo, vedendo le condizioni igieniche del luogo e la presenza di sangue su ogni superficie, pavimenti, macchinari, strumenti operatori e lettini, si fece forza e riuscì a fuggire.

Ancora una volta, esattamente come accaduto a Porbandar, McCurry aveva dovuto mettere a rischio la propria vita, immergendosi senza risparmiarsi nella realtà che lo circondava, per divenire testimone della Storia e regalare al mondo una fotografia che resterà a imperitura testimonianza di un fenomeno, quale quello delle piogge monsoniche, che affligge una parte del nostro pianeta.

Appuntamento alla prossima settimana per l’ultima parte di questo speciale dedicato a Steve McCurry.

- Advertisement -spot_imgspot_img

Ultime notizie

- Advertisement -spot_img

Notizie correlate

- Advertisement -spot_img