Qualche giorno fa, al meeting di CL a Rimini, il ministro degli Esteri Tajani ha avanzato l’idea della privatizzazione dei porti per recuperare risorse per ridurre il debito pubblico. L’idea è stata subissata dalle critiche con un’evidente contraddizione dell’opinione pubblica: si dà per scontato che i politici siano tutti ladri e corrotti e poi quando esiste la possibilità di sottrarre una parte del potere economico alla politica si è contrari. L’idea delle privatizzazioni non dev’essere sembrata negativa al ministro dell’economia Giorgetti che, in occasione dell’approvazione della legge che permetterà allo stato italiano di acquisire il 20% della rete Telecom, ha dichiarato che si può disinvestire in alcuni settori.
In Italia si registra una curiosa convergenza fra destra e sinistra sul tema dell’intervento dello stato in economia. La sinistra per sua ideologia è ovviamente statalista, ma in Italia esiste una cosiddetta destra sociale che in qualche modo si rifà all’esperienza del fascismo che contrariamente a quanto si pensa va a pieno titolo inserito nell’alveo della famiglia socialista. Questa coincidenza ideologica pone un serio ostacolo al processo di riduzione della presenza dello Stato nella società.
Le privatizzazioni prima di rispondere ad una logica economica, rispondono alla necessità di ampliare gli spazi di agibilità dei cittadini. Un maggior intervento dello Stato implica una minore possibilità di intervento economico e sociale dei cittadini che si vedranno interdetti interi settori economici. Quando esisteva il monopolio statale delle telecomunicazioni, oltre ad avere tariffe più alte, non era possibile per un cittadino intraprendere in quel settore. Con la liberalizzazione si sono create varie imprese private con la creazione di nuovi posti di lavoro. Certamente i lavoratori del vecchio monopolista sono diminuiti, ma ciò è in parte dovuto alle varie vicissitudini seguite alla privatizzazione con un susseguirsi di proprietari non proprio all’altezza.
Tornando al lato economico è importante specificare che un eventuale incasso da privatizzazioni non può andare a coprire la spesa corrente, ma a riduzione del debito pubblico. I proventi delle privatizzazioni sono una tantum e non ha senso utilizzarli per la spesa corrente che per sua natura si ripete ogni anno. Inoltre, riducendo il debito pubblico, si vanno a diminuire gli interessi che lo Stato deve pagare ogni anno riducendo di conseguenza anche la spesa annuale. Per fare un esempio, se una famiglia vende un box per ridurre il mutuo ha un senso perché va a ridurre la rata mensile e risparmia interessi, ma se lo vende per la vacanza ovvero per la spesa corrente è evidente il danno; si troverebbe con la rata del mutuo intatta e senza box. Per questo è importante che i soldi delle privatizzazioni vadano direttamente ad abbattere il debito pubblico. Per quanto riguarda la strategicità di alcune imprese esiste la legge sul golden power che permette allo Stato di intervenire pesantemente nella gestione di una impresa o di deciderne gli assetti proprietari. È piuttosto ovvio che se si dovesse procedere alla vendita o meglio dell’affidamento in gestione dei porti non si potrebbero accettare operatori cinesi che in qualche modo fanno sempre riferimento al partito comunista cinese e così per altri acquirenti sospetti. Bisogna ricordare che il Monte dei Paschi di Siena che ha assorbito una vagonata di miliardi dallo Stato deve essere venduto entro il 2024 e Ita Airways, erede del disastro Alitalia è in fase di vendita ai tedeschi di Lufthansa. Lo Stato possiede in maniera diretta e tramite Cassa Depositi e Prestiti circa il 55% di Poste e se ne potrebbe venderne una quota senza intaccarne il controllo. C’è la possibilità di recuperare delle risorse senza eccessivi sforzi. Con il tempo si potrebbe anche finalmente mettere mano all’immenso patrimonio immobiliare statale individuando ciò che può essere venduto liberando ulteriori risorse.
Una nuova stagione di privatizzazioni potrebbe liberare settori dell’economia a favore dei privati cittadini e porre le basi per una riduzione del debito pubblico.
di Vito Foschi