di Roberto Donghi
Non c’è cosa più stupida che si possa fare al mondo: lasciare il potere quando ce lo si ha in mano.
Perché se il potere è difficile da conquistare, è poi quasi impossibile da riprendere quando lo si è perso, ma considerando il personaggio poco addentro alla saggezza e più affine ai balli di tette in spiaggia, non sorprende che sia finita così, con un seppuku politico. Un anno dopo quell’Agosto 2019 al voto non ci siamo andati e Salvini non ha avuto i “pieni poteri” che millantava di volere.
Inoltre, se mezza Italia è grata a quel bicchiere di rum bianco, zucchero di canna, succo di lime, foglie di menta e acqua di Seltz che da solo ha spazzato via il centrodestra, l’altra metà, quella che in Salvini ci aveva sperato, inizia a guardare con rassegnata pietà la parabola degenerante del capitano; perché in un anno, la parabola è stata proprio una degenerazione continua, tra selfie imbarazzanti ed inquietanti e capovolgimenti di idee passate in pochi mesi dal socialismo venezuelano alle citazioni di Margaret Thatcher.
Un anno dopo la Lega salviniana si sveglia sudista; ha difatti perso il 30% delle tessere al Nord, scontentando tutti, dalle partite iva alle grandi industrie, un popolo nordista senza il quale non si può pensare di governare e che guarda sempre più a Zaia come salvatore degli interessi cispadani. Un nome, quello di Zaia, che in un anno ha assunto il valore di “memento mori” sussurrato alle orecchie del capitano e che tra un mese suonerà per lui come una campana a morto.
Il 20 Settembre si prepara ad essere infatti la data del plebiscito veneto al suo doge, il quale si appresta addirittura a presentare una seconda lista di amministratori locali che porterebbe via altri consensi ad una lega che 5 anni fa si era vista sorpassare di 100mila voti dalla lista personale di Zaia. Oltre a subire il trionfo, insomma, per Salvini è in arrivo pure la mortificazione.
Poi, se lo scenario non è roseo in casa Lega, è ancora peggio se si guarda all’orizzonte, dove incalza il partito guidato da Giorgia Meloni, sempre più casa dei delusi Lega e degli ex Forza Italia; da un anno Salvini non sa più che pesci pigliare e non ne azzecca una.
Probabilmente non sarà battuto al prossimo congresso, ma il suo dominio sul cdx da qui al voto è sempre più a rischio, con percentuali passate dal 34 al 27% ed in continuo, seppur lento, calo.