di Gabriele Rizza
Se il coronavirus ha colpito indistintamente gli Stati Uniti e i 27 paesi dell’Unione Europea, non si può dire che la reazione al conseguente virus economico, fatto di chiusure e disoccupazione, sia stata la stessa. Prima Trump e poi Biden hanno immediatamente messo in circolo miliardi e miliardi di dollari da destinare a disoccupati, famiglie, piccole e grandi imprese, hanno anche finanziato con 3 miliardi di dollari le ricerche di Pfizer sul vaccino (contro i 400 milioni di euro messi in campo dalla Germania per la “socia” Biontech). I risultati dicono che si è vicini a quota 100 (più 100), ossia cento milioni di vaccinati e altrettanti di assegni ai cittadini, tutto mentre viene annunciato un mastodontico piano di ben 1,9 trilioni di dollari a sostegno dell’economia. Quindi, maggior celerità nelle vaccinazioni, riaperture anticipate rispetto all’UE e liquidità a imprese e famiglie, pongono nel breve periodo gli Stati Uniti in uno scenario economico di forte di ripresa già nel 2021: secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il PIL degli USA salirà del 6,5% quest’anno, del 4% nel 2022. Mentre gli l’UE non supererà il 4% né nel 2021 e né il prossimo anno.
La causa dei ritardi dell’Unione Europea sta tutta in due problematiche assenti negli USA: il prolungamento delle chiusure causata da varianti e soprattutto dalla deludente campagna vaccinale che addirittura ha visto momentaneamente bandita AstraZeneca, da politiche fiscali affidate ancora ai singoli Stati mentre quelle comunitarie hanno richiesto mesi e mesi di consultazioni (ci si ricordi dei paesi “frugali” come Olanda e Austria) e che per arrivare nelle casse di Roma, Madrid o Parigi, impiegheranno ancora qualche mese, proprio nel periodo in cui la cassa integrazione arriva in ritardo e i ristori non bastano. Inoltre, come affermato da Christine Lagarde, presidente delle BCE, la banca centrale continuerà con l’acquisto dei titoli di stato ma non cambierà il ruolo della BCE previsto dai trattati: controllare l’inflazione senza occuparsi di politiche per il lavoro.
C’è però uno scenario positivo, che se i governi metteranno da parte i soliti interessi particolari, potrà segnare una svolta per l’UE: gli aiuti europei come il Recovery Fund saranno garantiti da obbligazioni comuni, ed è la prima volta che i paesi dell’UE mettono in comune i propri debiti, come auspicato dall’Italia da anni con gli eurobond. È una misura occasionale, certo, ma se i soldi venissero spesi bene e con successo, i paesi del sud Europa potrebbero poi far leva politica per ripetere l’esperimento. Infine, il piano di ripresa europeo è in programma fino al 2027, segno che non si guarda solo all’emergenza ma anche ad una programmazione futura, come testimoniato dai piani per la digitalizzazione e l’ambiente.