«I mean, it is interesting that the form of the definition should be, for instance, “We are the peo- ple who don’t eat snakes” rather than “We are the people who eat lizards”. What we don’t do rather than what we do do.” […] “It all has to do with cleanness and uncleanness” […].
“Clean and unclean animals, clean and unclean ha- bits. Uncleanness can be a ver handy device for deciding who belongs and who doesn’t, who is in and who is out .»[1]
Così scrive Coetzee, scrittore sudafricano naturalizzato australiano, nel suo celebre racconto The Lives of Animals, divenuto uno dei testi fondamentali dell’ecocritica contemporanea. Il testo, che immagina una conferenza di una docente vegana in un’Università statunitense, vede l’alternarsi di diversi punti di vista, tra cui spicca sicuramente la celebre contrapposizione tra alimentazione vegana ed onnivora, ciascuna portata avanti, nel testo, con argomentazioni parimenti convincenti. Ciò che colpisce, però, non può che essere l’idea di sporcizia legata a certi animali, elemento fondante di tutti quei taboo alimentari che permettono alle diverse comunità umane di identificarsi in quanto tali. In breve, l’idea di sporcizia legata a certi animali fa sì che questi siano esclusi dai processi di allevamento ed alimentazioni per alcuni gruppi sociali che cominciano quindi ad identificarsi proprio in virtù del loro non nutrirsi di quegli animali.
Il rapporto dell’uomo con gli animali è, a ben vedere, da sempre piuttosto complicato.
Le diverse ontologie sociali[2] hanno costruito uno sguardo proprio nel rapporto con i non-umani, facendo degli animali nello specifico un interlocutore importantissimo per la definizione del sé.[3]
Lo sguardo occidentale ha dunque perso una direttiva completamente differente rispetto a quello di altri popoli, andando a definirsi quale ontologia analogista[4], ovverosia un modo di guardare agli enti del cosmo come divisi da tanti, piccoli, scarti ontologici. Non vi è uguaglianza nel cosmo per l’uomo occidentale, troppo legato a quell’idea di “immagine e somiglianza di Dio“[5] trasmessaci dalla Bibbia. In una simile visione del mondo, come poter immaginare gli animali quali esseri fatti della stessa sostanza dell’uomo, proprio come fanno i Desana o gli Achuar dell’Amazzonia?[6]
Come può trovare spazio l’idea dell’animale come categoria di identificazione dell’io, esattamente come avviene nelle ontologie totemiste?[7]
Non è per niente difficile, guardando al mondo con queste lenti, cadere nella supposizione di credere di poter disporre delle vite degli animali come meglio crediamo, ignorando sistematicamente la loro sostanza, il loro dolore, la loro natura. Nello sguardo che volgiamo al mondo, carico di differenze e mai di somiglianze, non vi è posto per l’uguaglianza sostanziale, ma solo per lo sfruttamento, per la violenza, per l’allevamento intensivo, la tortura e, come avvenuto nell’Oasi “Rifugio Cuori Liberi”, anche per l’assassinio istituzionalizzato.
Non c’è dunque da stupirsi se funzionari delle forze dell’ordine compiono simili atti contro gli animali, poiché perfettamente coerenti con la retorica della differenza nata e sviluppatasi proprio in Occidente, dove gli animali non saranno mai più di enti alla nostra totale mercé, schiavi da abusare e usare come desideriamo, esseri la cui unica funzione ontologica è quella di soddisfare i nostri bisogni primari. É proprio il caso di dire, parafrasando Orwell, che «tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono (davvero, nda) più uguali di altri».
[1] J.M. Coetzee, The Lives of Animals (1999), Princeton 2016 pp. 39-40
[2] P. Descola, Oltre natura e cultura, Cortina Editore, Milano 2021
[3] E. Fabiano, G. Mangiameli, Dialoghi con i non umani, Mimesis, Sesto San Giovanni 2019
[4] P. Descola, Oltre natura e cultura, Cortina Editore, Milano 2021
[5] Genesi 1: 26-28
[6] P. Descola, Oltre natura e cultura, Cortina Editore, Milano 2021, capitolo I
[7] ibid.
di Stefano Sannino