di Martina Grandori
Una ricetta, un ricettario gastronomico possono essere tutelati dalla protezione fornita dal diritto d’autore alle opere d’arte e in generale alle opere d’intelletto umano? La questione poco dibattuta è un paradosso se si pensa al potere all’influenza che oggi gli chef hanno.
Un’opera dell’ingegno, infatti, riceve protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore […] Il concetto giuridico di creatività, quindi, deve essere riferito non al contenuto esposto, ma alla forma interna ed esterna della esposizione e, di conseguenza, anche ciò che è già di dominio pubblico può costituire oggetto di un’opera tutelabile con il diritto d’autore quando essa sia espressa in una f orma che rechi, in qualsiasi modo, l’impronta di elaborazione personale dell’autore. Questa il testo della legge sul diritto d’autore.
L’arte culinaria è a tutti gli effetti assimilabile ad altre manifestazioni artistiche e creative. Eppure in questo settore non c’è ancora pratica di valorizzazione economica della fantasia, la legge non tutela il genio ai fornelli. Nonostante si parli di arte culinaria, non esiste una vera pratica di valorizzazione e tutela – artistica ed economica – della ricetta, i diritti di natura personale (la paternità dell’idea) e patrimoniale (commercializzazione e sfruttamento di “quel piatto”) non includono l’arte gastronomica.
A poter godere della protezione del diritto d’autore è invece, la creativa espressione formale e letteraria della ricetta (si pensi alla famosa Agenda di Suor Germana), sia, e soprattutto, l’aspetto estetico della stessa una volta realizzata, sempre che dalla “composizione estetica” del piatto, chiamato impiattamento, sia rinvenibile l’apporto creativo dell’autore, celebre l’esempio del riso, oro e zafferano di Gualtiero Marchesi. In poche parole, una gran confusione per la tutela delle opere innovative gastronomiche, non esiste una definizione universale alla cosa e quindi non esiste una tutela precisa come avviene per dipinti e canzoni.
In assenza di un diritto che protegge la forma espressiva dell’opera, gli chef si rassegnano alla difesa attraverso le norme sociali condivise, grazie anche al fatto che la comunità degli chef vive molto sulla reputazione dei singoli e sul loro narcisismo, copiare sarebbe uno smacco. Poi ci sono anche chef meno autoreferenziali come Franco Pepe di Caiazzo (il pizzaiolo-artigiano considerato dai critici il numero uno al mondo, inventore della pizza con sottostrato di mozzarella e sopra adagiato pomodoro riccio del casertano), che invece vede nell’essere imitato in tutto il mondo una soddisfazione, un riconoscimento alla sua bravura.