di Gabriele Rizza
Mentre la Turchia di Erdogan e il popolo curdo si rinfacciano a vicenda la violazione del cessate il fuoco, ci troviamo davanti a un nuovo capitolo di una lunga storia che viene da lontano, ovvero da quella che all’epoca venne definita come Grande Guerra, poi ribattezzata dagli storici come Prima guerra mondiale.
Cause e conseguenze sono le parole chiave di chiunque si appassioni alla storia, e tutti gli appassionati non potranno a fare a meno di notare che gran parte dei conflitti ancora oggi in corso vengono da quella maledetta guerra, o meglio, dalle promesse non mantenute dei vincitori e dagli scellerati trattati di pace. Le questioni prettamente europee alla lunga si sono risolte da più o meno tempo, come le ambizioni dell’Italia stroncate dal secondo conflitto mondiale, la stabilità degli Stati dell’est Europa sorti dopo il crollo dell’Impero Asburgico, la recente guerra nei Balcani e soprattutto la pacificazione della Germania, ormai leader dell’UE insieme allo storico nemico, la Francia. Non si può dire lo stesso per le questioni del nostro Vicino Oriente, meglio conosciuto come Medio Oriente, perché ormai anche noi mediterranei ragioniamo geograficamente come gli anglosassoni sentendoci più a occidente di quello che in realtà siamo.
Francia e Gran Bretagna si spartirono quello che restava del perdente Impero Ottomano che controllava quasi tutto il Vicino Oriente, così la Siria e il Libano andarono ai francesi, mentre Palestina, Giordania e i Iraq agli inglesi. Vennero tracciati confini che non corrispondevano del tutto al corso della storia e all’identità culturale e sociale delle popolazioni locali, stesso metodo applicato con ancora più superficialità con la decolonizzazione in Africa. Il Trattato di Sevres del 1920 riconosceva la Turchia come erede statuale dell’Impero Ottomano e riconosceva alla Grecia, vincitrice nel conflitto, alcuni territori della costa turca, come la regione di Smirne. Soprattutto il Trattato riconosceva la possibile formazione di uno Stato curdo, che comprendesse parte della Turchia, della Siria e dell’Iraq, ovvero i territori abitati storicamente dai curdi, che oggi ammontano a 20 milioni.
I vincitori non sono mai troppo contenti del bottino delle loro vittorie, e così la Grecia attaccò senza fortuna la Turchia. Ed è qui che spunta fuori il padre della Turchia che oggi conosciamo: Mustafa Kemal Ataturk. Guidò la Turchia alla vittoria, andò al governo e revisionò il Trattato di Sevres con Francia e Gran Bretagna e riottenne i territori concessi prima alla Grecia. Cosa più importante, fondò ideologicamente ed etnicamente il concetto di nazione turca, sostituto di quel concetto di universalità che ogni Impero, come quello Ottomano, si porta dietro. Pertanto vennero allontanate tutte le minoranze etniche e religiose, cristiane o musulmane che fossero. E i curdi in Turchia erano milioni, concentrati nel sud- est del paese. Mandarli via del tutto non era possibile, perciò si tentò una politica di assimilazione forzata, che comportò, per esempio, la traduzione dei cognomi curdi in turco, la cancellazione di ogni tradizione di quel popolo, fino alla distruzione di interi villaggi. Infine le promesse di creazione di uno stato curdo, il Kurdistan, furono disattese da Francia e Gran Bretagna, lasciando da soli i curdi anche sul piano internazionale.
Più volte, nel corso del secolo scorso, le potenze mondiali appoggiarono la causa curda quando utile per combattere contro altri nemici regionali, come l’URSS per combattere l’Iran e gli USA per combattere l’Isis. Sempre però disattendendo la promessa di fondare il Kurdistan, o quantomeno, di far ottenere ai curdi maggiore autonomia nei vari territori tra Turchia, Iraq e Siria. Non c’è da sorprendersi se i curdi amano definirsi come “amici delle montagne”.