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giovedì, 21 Novembre, 2024

TUNISIA: UNA BOMBA AD OROLOGERIA?

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CRISI ECONOMICA, ISLAMISMO E POTERE: IL RISCHIO A POCHE MIGLIA DALL’ITALIA

A poche miglia dalle coste nazionali, la Tunisia vive uno dei momenti più difficili degli ultimi anni, asfissiata da una agonizzante palude economica e con il crollo della partecipazione popolare alle elezioni, nonché del sostegno all’attuale Presidente Kais Saied (un indipendente eletto nel 2019 con il 72,71% dei voti) capace, nel 2022, di cambiare la costituzione instaurando un sistema “iper-presidenziale”.

La Tunisia ha iniziato la sua transizione democratica nel 2011 con la cosiddetta “Rivoluzione dei gelsomini”, che ha posto fine a vent’anni di dittatura di Zine El Abidine Ben Ali al quale sono susseguiti in dieci anni, ben dieci governi. Un’instabilità che ha solo aggravato la crisi economica e sociale.

A partire dal 2019, la politica tunisina ha riversato le proprie speranze nella figura di Kais Saied, candidato indipendente, giurista professore all’università di Tunisi e considerato capace di salvare il Paese dalla corruzione e dalla stagnazione economica. Più recentemente, Saied ha sfruttato il clima di sofferenza derivato dalla pandemia per sospendere, nel Luglio 2021, il parlamento, assumere pieni poteri ed indire un referendum, nel 2022, per modificare la Costituzione del Paese e dal quale è uscito trionfante con un 92% di sì a fronte, però, di un misero 27% di affluenza. La nuova Costituzione ha ampiamente aumentato  i poteri istituzionali del capo dello stato anche sul governo e sulla magistratura ed ha, per la prima volta, stralciato l’Islam quale religione di stato.

Tuttavia, una crescente tendenza all’islamismo si sta comunque verificando nel Paese per il tramite del partito Ennahda ossia “Movimento della Rinascita”, oggi più moderato che in passato, ma comunque legato ad una visione molto più fondamentalista dello stato e potrebbe essere tale tendenza ad aver portato, il 17 Aprile 2023, all’arresto di Rāshid al-Ghannūshī, guida del partito di opposizione accusato di terrorismo per aver affermato in un video che “la politica senza Islam è un progetto di guerra civile”. Parole che pesano e preoccupano maggiormente in una situazione di profonda instabilità.

Occorre quindi capire quale sia il progetto del Presidente Saied sia quello di  restaurare un regime dittatoriale stile Ben Ali oppure salvare sinceramente la Tunisia dal default economico e da possibili svolte islamiste che già sono risultate destabilizzanti in altri Paesi. Per farlo non sarà sufficiente accentrare i poteri politici, ma saranno necessarie riforme volte a contenere la spesa pubblica, a limitare la corruzione, a sviluppare maggiori investimenti stranieri e l’imprenditorialità locale, nonché lo sblocco di un prestito di 2 miliardi di dollari ca da parte del Fondo monetario internazionale e per il quale il 13 Aprile il Ministro degli Esteri Tajani, a seguito di un incontro con il collega tunisino Nabil Ammar, aveva twittato “Lavoriamo per sbloccare negoziato con il FMI

La Tunisia è il Paese africano più vicino all’Italia, del quale siamo il primo partner commerciale, di grande importanza strategica, nonché fondamentale anche per il nostro approvvigionamento energetico dall’Algeria. L’Italia non può permettersi un altro Paese instabile di fronte alle proprie coste e dovrà forse mostrare maggiore sostegno per scongiurare un collasso  che metterebbe a rischio le nostre fonti energetiche (il gasdotto Enrico Mattei passa da lì) e che aprirebbe la strada all’instabilità nel controllo dei flussi migratori i quali nel 2022, tramite le rotte tunisine, che hanno già consentito l’accesso irregolare a circa 30mila clandestini.

di Roberto Donghi

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