Mercati galvanizzati da una riforma fiscale imponente che taglia aliquote e incentiva gli investimenti. Noi, invece, quanto dovremo aspettare ancora ?
Francesco Manfredi – 15 Ottobre 2018
I primi due anni di mandato del Tycoon newyorkese non sono stati di certo semplici. Nemici ovunque, pronti a negare perfino l’evidenza di un risultato che in breve tempo, non poteva essere migliore di quanto si è rivelato ad oggi.
Il tasso di crescita del Paese raddoppiato, disoccupazione ai minimi storici e salari e investimenti in netta ripresa, come mai prima d’ora.
Tuttavia, mentre Borse e mercati appaiono euforici a questi segnali, pochi osservatori economici sembrano essere disposti a riconoscere al presidente il merito di questi successi.
Sotto accusa sembra essere una specifica configurazione della riforma che detta una indefinita irresponsabilità fiscale di avere tagliato gli introiti e lasciato il denaro nelle tasche degli americani. Secondo gli acuti osservatori critici della riforma, nel medio-lungo termine, ciò porta inevitabilmente ad aumentare il debito pubblico, poiché costringerebbe la FED ad incrementare i tassi con il risultato di soffocare, pertanto, la ripresa economica…
Sono gli stessi acuti osservatori economici che ancora non perdonano ad Arthur Laffer di aver disegnato su un tovagliolo di ristorante, quella curva su cui si basò il primo e imponente taglio delle tasse a firma Reagan. Alla faccia di algoritmi e tesi varie, la ” Curva di Laffer ” si basava su un semplice concetto:
in certe condizioni economiche, una forte diminuzione delle imposte produce, insieme al rilancio dell’economia, anche un aumento delle entrate fiscali.
Laffer sosteneva che il prelievo fiscale oltre a una determinata soglia, rendeva inconveniente l’attività economica, la quale, per susseguire, tendeva a ridurre il gettito fiscale attraverso tre fenomeni:
- evasione, sottraendosi illegalmente al pagamento di un’imposta, dichiarando una base imponibile minore rispetto a quella reale allo scopo di pagare all’erario un importo inferiore;
- elusione, “truccando ” la natura dell’operazione con lo scopo di beneficiare di minori imposte. A differenza dell’evasione l’elusione non si presenta come illegale. Essa pur rispettando formalmente le leggi vigenti, le aggira nel loro aspetto sostanziale, frustrando il motivo per il quale sono state approvate;
- sottraendo l’imponibile dalla tassazione eliminandolo o spostandolo, togliendo pertanto produzione allo Stato appartenente.
Avendo più moneta in circolo, le basi dell’economia dicono che aumenta proporzionalmente la domanda e, di conseguenza, l’offerta comincia a subire impatti positivi che si ripercuotono in un loop nel quale, se ben impostato e implementato da uno snellimento e conseguente efficientamento della macchina burocratica statale, genera un vortice di lavoro, assunzioni e ricchezza, incrementando per cui gli introiti delle casse statali da chi non trova più motivo di eludere, evadere o sottrarre un qualcosa che è tranquillamente sostenibile.
Il nuovo denaro risulta quindi riutilizzabile nell’impresa e nel mercato, dando origine a scambi monetari che alimentano e drogano il mercato e, di conseguenza, i consumi. E in giorni in cui si vive di produzione e consumismo, ciò è un vero toccasana non solo per le aziende ma, soprattutto, per le famiglie e i lavoratori.
Nel concreto, ecco ciò che, nell’impostazione della riforma di Trump, parrebbero essere i punti più criticati.
Gli sgravi fiscali alle aziende: aliquota ridotta dal 35% al 22%, spese in investimenti ammortizzabili al 100%, deduzione per alcune tipologie di società del 20% dei propri ricavi.
E la cifra che andrà a mancare alle casse dell’erario, secondo calcoli fatti, si aggirerebbe attorno ai 500 miliardi di dollari. Cifra che però viene distribuita ai cittadini, andando a creare salari, occupazione e consumi. Per questo motivo non desta preoccupazione il Deficit, come non impensierisce l’amministrazione di Trump,il fronte del debito pubblico, dato che le maggiori agenzie di rating hanno additato agli Stati Uniti d’America dei giudizi ( AAA, AA+ e Aaa, rispettivamente Fitch, S&P e Moody’s ) che mostrano una panoramica più che solida di solvibilità dello stesso debito.
Ovviamente è presto per dare giudizi conclusivi sull’operato di Trump, ma di certo politiche liberali in ambito economico non possono fare altro che dinamizzare quel settore privato che rappresenta il vero motore trainante dell’economica del territorio e, quindi, della sua ricchezza.
Possiamo però rievocare esempi passati, per comprendere se veramente una riduzione delle tasse può, nel tempo, incrementare le casse statali e rinvigorirle di nuovo capitale?
Rimanendo negli Stati Uniti, quando Lindon Johnson praticò la prima riduzione di tasse degno di nota, le casse statali aumentarono del 30% in pochi anni, al netto dell’inflazione.
Ciò accadde anche con Ronald Reagan e la sua riforma delle tasse cresciuta sulle fondamenta della curva di Laffer.
E ciò accadde anche con Iron Lady, Margaret Thatcher.
Un paio di esempi di come questa riforma ha creato effetti positivi all’economia nazionale:
FCA ha spostato uno stabilimento dal Messico al Michigan.
La catena di supermercati più grande d’America, WalMart, ha aumentato gli stipendi dei propri dipendenti.
Nuovi stabilimenti, nuovi assunzioni e operai con le tasche più piene.
E siccome il taglio fiscale vale anche per gli stessi operai si hanno, pertanto, maggiori probabilità di acquisto di un prodotto.
Maggiori consumi e così nuovi ordinativi alle aziende che, probabilmente nella maggior parte dei casi, ricorreranno a nuovi assunzioni.
E così via.
In Italia, il centro destra nelle ultime elezioni ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia. La famigerata Flat Tax, per la quale, in prima linea, lo stesso vice premier Matteo Salvini che pare però distratto al momento da altre priorità.
E mentre il Paese cade a pezzi, siamo costretti negli ultimi giorni ad assistere a dibattiti che vertono a politiche assistenzialistiche, come quelle del Reddito di Cittadinanza.
Esattamente in antitesi con quanto servirebbe a un Paese con un’economia in declino come il nostro.