di Alessandro Giugni
Da più di un anno siamo quotidianamente esposti a un bombardamento mediatico di numeri e dati relativi alla pandemia. Ma ci siamo mai soffermati a chiederci se i media siano stati trasparenti nel comunicarceli oppure se abbiano cavalcato l’onda della nostra paura per portarci ad accettare limitazioni dei nostri diritti, uno tra tutti il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost., e delle nostre libertà che mai avremmo creduto possibili 365 giorni or sono?
Partiamo da un concetto recente, il databullismo, elaborato da Mariaclelia di Serio, Professore ordinario di Statistica Medica ed Epidemiologica presso Università Vita-Salute San Raffaele. Con questo termine si vuole indicare la messa in atto di una serie continuativa di azioni vessatorie (il rilascio giornaliero di numeri complessi e non commentati) nei confronti di chi (la maggioranza della popolazione) non è in grado di contrastare tali azioni, con l’unico effetto di generare una dispercezione della realtà. La principale conseguenza di questo fenomeno risiede nella riproposizione continua di lockdown più o meno generalizzati e mai in grado di prevenire efficacemente la diffusione del contagio, essendo esso stato sempre disposto quando ormai la situazione era sfuggita di mano.
Di seguito alcuni esempi di databullismo perpetrato da parte dell’informazione telegiornalistica nei confronti dei cittadini: 1) la scorsa settimana i telegiornali hanno parlato di «raddoppio dei contagi» o di «+77% di casi» in Sardegna, determinanti per il passaggio dalla fascia bianca ad arancione. Dal sito della Protezione Civile è possibile evincere come tra il 15 e il 19 marzo siano stati registrati 500 nuovi casi contro i 513 della settimana precedente. Come è stato, dunque, ricavato quel +77%? Semplice: i media hanno confrontato i nuovi casi dell’8 marzo (+68), con quelli del 18 marzo (+121); 2) Sempre con riferimento alla Sardegna, si parla di 12.813 attualmente positivi. Nessuno, però, analizza nel dettaglio questo dato: 175 ricoverati con sintomi, 28 in terapia intensiva (il 2,48% dei 1006 posti in TI disponibili) e i restanti 12.610 in isolamento domiciliare; 3) Il tg5 delle 20 del 19 marzo 2021 apre con: «Terapie intensive piene in tutta Italia». Ma è davvero così? Attualmente, secondo l’ISS, sarebbero occupate 3.364 TI delle 10.000 disponibili, ossia il 36%.
Di esempi come questi potremmo farne a decine. L’unica certezza è che quella che era iniziata come una pandemia oggi assume sempre più i contorni di un’infodemia.