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sabato, 16 Novembre, 2024

TIKTOK: QUANDO UN SOCIAL NETWORK DIVENTA UNA CONDANNA A MORTE

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di Susanna Russo

Con 800 milioni di utenti attivi nel mondo, 2 miliardi di download totali e 350 milioni solo nel primo quadrimestre del 2020, TikTok batte Whatsapp, Facebook ed Instagram. Il dato chiave però è un altro: il 41% degli utenti iscritti ha dai 16 ai 24 anni, TikTok ha quindi conquistato la cosiddetta “generazione Z”.

Sono in pochi ad ignorare i meccanismi di questo palcoscenico virtuale, limitiamoci quindi a dire che si tratta di una piattaforma social caratterizzata da brevi contenuti video caricati e condivisi dagli utenti. Sono molte le baby stars che si fanno strada attraverso il social in questione, ma iniziano ad essere numerosi anche i ragazzi che, per colpa dello stesso, ci rimettono la vita. Su TikTok imperversano infatti le challenge, ossia delle sfide affrontate per guadagnare il maggior numero possibile di consensi, ma soprattutto di like. Le sfide sono svariate, e molte di queste mettono a rischio la salute attraverso, ad esempio, l’assunzione di saponi o medicinali, o mediante azioni che attentano alla propria vita o a quella altrui. Da sempre l’unico requisito indispensabile per iscriversi al social è avere 13 anni, o comunque, testimoniare che sia così.

Arrivati ad oggi, a fronte dell’ennesima tragedia causata proprio da una di queste goliardiche sfide, TikTok corre ai ripari, ed attua delle restrizioni che rendano più sicura l’applicazione. D’ora in avanti soltanto i maggiori di 16 anni potranno accedere ai contenuti video pubblicati da coloro che sono esclusi dalla propria cerchia di amici, e non sarà più possibile salvare i video sul telefono senza che ci sia il consenso di chi ha elaborato il contenuto. Sono quindi queste le norme per evitare che qualcun altro, per gioco, ci perda la vita.

Forse, però, occorrerebbe capire dove stia la vera falla, ma non quella dell’applicazione, bensì quella del sistema in cui viviamo. Sembra tanto che si provi a risolvere problematiche pratiche e che non ci si concentri sulle voragini esistenziali che stanno appena sotto la superficie; dei ragazzini muoiono per dimostrare che esistono, e che possono tutto. Si tolgono la vita mentre, attraverso un video di 30 secondi, provano a lasciare una coraggiosa traccia di sé.

Abbiamo ormai imparato a convivere con i social network e con la conseguente urgenza di mostrarci agli altri in continuazione, senza ritegno, e diversi da quelli che siamo.

Non possiamo permettere che diventi un’abitudine anche che dei bambini, pur di rendere appagante e convincente la loro vita virtuale, perdano quella reale.

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