Due contendenti su un ring.
Uno in giacca e cravatta in perfetto stile inglese e con un badge lucido che riporta la scritta “The Wolf of Wall Street”. L’altro vestito con una camicia usurata di cotone grezzo, di un grigio che una volta era forse bianco: scritto sul petto con un pezzetto di carbone “12 anni schiavo”.
Si poteva forse aprire così l’epico scontro degli Oscar per il miglior film della stagione.
Il ritmo del film con Leonardo DiCaprio (The Wolf of Wall Street), è veloce e a volte incalzante. Quello con Chiwetel Ejiofor, lento e quasi onirico. L’introspezione dei personaggi è indotta dalle droghe nel primo, e provocata dalla sofferenza della lontanaza la seconda.
Il protagonista di The Wolf of Wall Street, il Lupo con la L maiuscola è Jordan Belfort, finanziere senza scrupoli che si muove con la sua società di investimenti insieme a tutto il mondo dei finanzieri di Wall Street, a tutto il mondo delle Banche. Non è solo (anche se tutto il film ha il riflettore su di lui) perchè è il sistema a essere compiacente. Lui è solo un ingranaggio che ha capito il moto degli altri ingranaggi, e con essi lavora per il profitto sterile. La bolla economica prodotta è nel film una bolla di emozioni fittizie, ricchezza sprecata e sentimenti corrotti che alla fine (come in tutti i film a lieto fine) lo porterà alla crisi finale.
Il protagonista di “12 anni schiavo” è un Solomon Northup (impersonato da Chiwetel Ejiofor). Il titolo non lascia nulla alla immaginazione, un uomo libero di New York rapito e ridotto in schiavitù nel sud dell’America pre-Secessione. Quello che traspare dagli scorci georgiani della pellicola, è non solo dolore, solitudine, ricordi di una vita felice e lontana, ma anche l’indifferenza di chi circonda il protagonista. In primis dei suoi compagni di prigionia. In una scena tale elemento è lampante: lui appeso ad una corda e in bilico, non viene aiutato da nessuno. I bambini al contrario giocano nel prato adiacente con gli adulti. Lo spettatore è lasciato in uno stato continuo di angoscia ed ansia per il lieto fine già presente negli indizi iniziali. Non mi soffermerò sull’interpretazione dell’attrice Lupita Nyong’o (una compagna di sventura di Solomon) perchè non riesco a capire l’assegnazione dell’Oscar per la Miglior attrice non protagonista (vi pregherei di illuminarmi sul perchè di tale decisione nei commenti a questo articolo, grazie).
Ma perchè non ha vinto un film sulla onnipotenza distruttiva del mondo di Wall Street e della bolla finanziaria ed invece ha vinto un film semplice su un tema già abbondantemente sviluppato?
Vi lascio con due possibili risposte:
1 – Per una giuria americana politically correct, un Di Caprio eccessivo e meno bambino del solito non può vincere contro uno stralunato sconosciuto che incarna la purezza dei sentimenti.
2 – La mia sensazione è che l’America non sia ancora pronta a fare pace con i suoi fantasmi; fantasmi che in realtà sono presenti costantemente nelle borse e mai esorcizzati. La figura di Jordan Belfort non è un passato superato. E’ un presente schiacciante, fotografato dall’indice Dow Jones che continua a crescere, in un sistema finanziario fuori dalle regole del buon senso. E tra l’ammettere che c’è un fantasma che scampanella ogni giorno e congratularsi che l’altro è bel sepolto… una giuria cosa dovrebbe fare?
Francesco Bassino