E’ un vero peccato che questo film non sia uscito in Italia a dicembre; avrebbe sicuramente fatto un bell’incasso e il pubblico gli avrebbe concesso una buona accoglienza. The best man holiday è ambientato in una sontuosa villa americana durante le vacanze invernali. Un gruppo di amici si ritrova dopo molto tempo per raccontarsi attorno ad un camino acceso. Durante i giorni delle reunion, emergeranno tutti i nodi di d’amore, amicizia e vita di tutti i giorni che dovranno essere sciolti per il lieto fine d’obbligo.
Lance (Morris L. Chestnut già conosciuto in film minori e serie televisive) e Mia (Monica Calhoun che iniziò la sua carriera con lo splendido Bagdad cafè) sono i padroni di casa che ospiteranno la gang di amici e figli. Sono una coppia di successo ma sin dall’inizio si capisce che qualche cosa non sta funzionando. Harper (Taye Diggs), ex migliore amico di Lance farà la sua comparsa aumentando il senso di turbolenza nella coppia. Anche se con qualche scena melodrammatica e triste (il fazzoletto in alcuni casi è d’obbligo), il finale scioglierà tutti questi nodi e lascerà lo spettatore con il sorriso sulle labbra. Esattamente come dovrebbe essere per un film natalizio…peccato che alla sua uscita in Italia ci sono 30 gradi all’ombra!
Ma se qui ho semplicemente descritto quello che è una breve preview di quello che vi aspetta ora passo su un altro piano interpretativo.
Il film è sicuramente destinato ad un target di famiglie e coppie, ma quello che emerge dalle prime immagini è che non vi è nessun attore bianco. Segno molto forte di come l’industria americana del divertimento ha oramai preparato pacchetti che targettano soprattutto alcune fasce della popolazione. Il sogno della villa sontuosa e di una vita di successi sportivi, letterari e professionali è un segnale molto forte per forgiare identità e valori di parte della nuova classe in ascesa; la stessa che ha visto con Obama la definitiva affermazione delle persone di colore nel panorama politico ed imprenditoriale americano.
L’affrancamento oramai realizzato da alcuni decenni ma mai come ora palese, rappresenta un elemento di forte lacerazione nel classico linguaggio hollywoodiano sul colore della pelle. Ricordiamo infatti che pochi mesi fa ha vinto l’oscar il classico film sui patimenti di un povero schiavo di colore e che quindi sottolinea l’esistenza di questo modo di rappresentare. Ma la lacerazione nel codice linguistico immaginativo è ancora più forte quando si vedono i contenuti espressivi del film, il modo di raccontare i desideri, il “consumo” dei momenti.
I personaggi si muovono in modo identico alle perfette famiglie stereotipate bianche. Si vestono nella stessa identica maniera (polo bianca, maglioncino da golf club), aspirano al consumismo “ricco” più iconografico di una pubblicità del Mulino Bianco (ops Nero). Fumano un sigaro degustando cognac, aprono regali sontuosamente infiocchettati, preparano un albero di Natale così scintillante da rendere la luce di un diamante uguale a quella di una lampadina rotta, le donne osservano gli uomini come dei grandi bambinoni e gli uomini sorridono a 213 denti quanto giocano a palle di neve. L’elemento di rottura è il fidanziato bianco di una delle attrici e il “razzismo” al contrario con cui viene accolto.
Nulla dell’idioma slang tipico dei film di Spike Lee, nulla che abbia un riferimento alle immagini di un ghetto o effluvi di droga e disperazione. Probabilmente questa nuova corrente si farà sempre più strada e diventerà un mainstream descrittivo della nuova realtà cinematografica di Hollywood. Per me è perfetto se ci si limita ad un film natalizio di maniera.
Francesco Bassino