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sabato, 23 Novembre, 2024

Le terapie intensive dimezzate hanno causato la crisi della sanità italiana

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Coronavirus non è l’ebola, il vaccino non serve. Le parole di Giulio Tarro

Virologo di fama internazionale, Giulio Tarro, è discepolo di Albert Sabin, il padre del vaccino contro la poliomelite, di cui ha diretto il laboratorio dopo la scomparsa.
“Non voglio fare polemica, ma è curioso – dice Tarro – che ancora si ascolti chi a inizio febbraio diceva che il rischio di contrarre il virus fosse zero perché in Italia non circolava, quando invece era già in giro da tempo”, Giulio Tarro in Italia è molto discusso anche per i diversi scontri con Roberto Burioni.

Dall’inizio dell’espansione del virus si sono viste divise fazioni di esperti che spesso tendono a screditarsi, ma Tarro, classe 1938, non sembra interessato alla voci:

“Oggi ci si informa su internet, alla mia età e dall’alto della mia esperienza mi tengo alla larga. Ho isolato il vibrione del colera a Napoli, ho combattuto l’epidemia dell’Aids e ho sconfitto il male oscuro di Napoli, il virus respiratorio ‘sincinziale’ che provocava un’elevata mortalità nei bimbi da zero a due anni affetti da bronchiolite”.
Tarro, primario in pensione dell’Ospedale Cotugno di Napoli, che sembra essere l’unico ad avere protezioni adeguate per i medici, secondo Ernesto Burgio, è stato in prima linea contro tante influenze e per questo ricorda che “né per la prima Sars, né per la sindrome respiratoria del Medio Oriente sono stati preparati vaccini, si è fatto, invece, ricorso agli anticorpi dei soggetti guariti”.

Si può dire quindi che la soluzione per tornare alla vita di prima è nella messa a punto di una terapia antivirale efficacie, “una cura che potrebbe arrivare anche per l’estate. Spero che la scienza e il caldo possano essere alleati. E confido che potremo andare a fare i bagni. Troppa gente parla del coronavirus senza avere il supporto dei dati scientifici e senza le giuste conoscenze”.

Molta esagerazione gira intorno al Covid-19, ne è convinto Tarro, perché pur essendo “un virus un po’ particolare, fortunatamente non ha la stessa mortalità della Sars e neppure della Mers che uccideva un malato su tre. Oggi non lottiamo contro l’Ebola, ma il nostro nemico è una malattia che non è letale per quasi il 96% degli infetti”.

Sarebbero dunque una serie di concause ad aver mandato in crisi il sistema sanitario lombardo: “Il problema – prosegue il professore – è nel restante 4% che si è scatenato contemporaneamente. In pratica in meno di un mese abbiamo avuto gli stessi malati di influenza di un’intera stagione.
Un’ondata a cui era impossibile far fronte a causa dei tagli alla sanità degli ultimi anni. Secondo l’Oms, tra il 1997 e il 2015 sono stati dimezzati i posti letto in terapia intensiva. E, peggio, non siamo stati abbastanza veloci a riparare i danni”.

Secondo l’esperto l’Italia, in particolare la Lombardia, ha perso troppo tempo tra la dichiarazione dello stato d’emergenza del 31 gennaio e l’attivazione di misure ad hoc per fronteggiare l’emergenza: “

Perché quando abbiamo avuto le notizie dalla Cina, i francesi sono intervenuti subito sui posti in terapia intensiva e noi no? Abbiamo preferito bloccare i voli con la Cina: una misura davvero inutile. Per non parlare poi del caos mascherine. La verità è che all’inizio non le avevamo quindi si diceva che dovessero usarle sono medici e pazienti, poi siamo diventati produttori di mascherine e quindi diciamo che servono a tutti.
E’ incredibile, bisognava dire a tutti subito di usarle e di mantenere le distanze, invece, è stato fatto un pasticcio dopo l’altro. Si voleva blindare la Lombardia come la Cina e poi si è permesso a migliaia di persone di migrare al sud… Francamente non si è capito quale sia stato l’approccio del governo e le misure di contenimento sono state prese in ritardo”.

A non convincere l’esperto è anche la strategia di comunicazione:

L’allarme è fonte di stress e lo stress, paradossalmente, determina un calo delle difese immunologiche. Lo sanno tutti gli esperti, eppure ogni giorno assistiamo a questi inutili numeri che comunica la Protezione civile. Sono dati che non vogliono dire nulla: non conosciamo il numero preciso dei contagiati e di conseguenza ci ritroviamo di fronte a un tasso di mortalità altissimo. Se andiamo a vedere alcuni studi inglesi, però, scopriamo che gli infetti sarebbero molti di più: secondo uno studio dell’Università di Oxford addirittura il 60-64% dell’intera popolazione; per l’Imperial College almeno 6 milioni. Con queste stime il tasso di decessi si abbassa enormemente. Credo che arriveremo sotto l’1% come in Cina”.

In attesa di un antivirale efficace, l’esperto fa tre ipotesi sulla fine dell’epidemia:

“Potrebbe sparire completamente come la prima Sars; ricomparire come la Mers, ma in maniera regionalizzata o diventare stagionale come l’aviaria. Per questo serve una cura più che un vaccino. Il fatto che in Africa non attecchisca mi fa ben sperare in vista dell’estate”.

Manuel Gallo
Giornalista

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