La Tari gonfiata mette alle strette i consumatori con i suoi 9,1 miliardi l’anno. Il costo dell’asporto dei rifiuti continua ad aumentare: a partire dall’anno scorso la tariffa è aumentata tra il 2% e il 2,6% sia per le piccole e grandi imprese, che per le famiglie in una percentuale più ristretta ma comunque significativa. Infatti un piccolo nucleo di due persone avrà una spesa maggiorata del 2%, con tre componenti del 1,9% e con quattro dello 0,2%.
Ma gli aumenti non sono sulla linea di arrestarsi: le attività produttive vedranno il raddoppiarsi dell’inflazione che prevede l’1,3% in più per quanto riguarda l’anno corrente.
Qual è la causa di questo sperpero di denaro nella tassa rifiuti? Si può pensare che, come sostenuto da Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, “con il pagamento della bolletta non copriamo solo i costi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, così come stabilito dal legislatore con l’introduzione della Tari, ma anche le inefficienze e gli sprechi del sistema.”
Infatti oltre alla Tari stessa, il prelievo di rifiuti ha interessato nell’ultimo decennio altri contributi come la Tarsu, per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la Tia, ossia la tariffa di igiene ambientale e infine la Tares, che riguarda generalmente rifiuti e servizi connessi. La novità della Tari rispetto alle forme di prelievo precedenti è quella di coprire a trecentosessanta gradi il costo di ogni spesa impiegata per far defluire l’immondizia.
“Continuiamo a pagare di più, nonostante la produzione dei rifiuti abbia subito in questi ultimi anni di crisi una contrazione di 3 milioni di tonnellate – ha annunciato il CGIA – l’incidenza della raccolta differenziata sia aumentata di 20 punti percentuali e la qualità del servizio non abbia registrato alcun miglioramento. Anzi, in molte grandi aree urbane del paese è addirittura peggiorata”. Come confermato dai dati ISTAT, è diminuita la produzione di scarti da parte dei Comuni italiani: nonostante ciò, il progressivo aumento dell’imposta non ha previsto proporzioni nei confronti delle percentuali statistiche.
“Proprio per evitare che il costo di possibili inefficienze gestionali si scarichi sui cittadini – ha ricordato il segretario della CGIA, Renato Mason – la Legge di Stabilità 2014 aveva previsto che, dal 2016, la determinazione delle tariffe avvenisse sulla base dei fabbisogni standard. Il Parlamento, successivamente, ha però prorogato tale disposizione al 2018. Pertanto, bisognerà attendere ancora un po’ affinché le tariffe coprano solo il costo del servizio determinato dai costi standard di riferimento”.
Sofia Airoldi