di Gabriele Rizza
Le risorse stanziate dal governo per la riduzione della pressione fiscale, primo passo per una riforma complessiva dell’Irpef, Irap e lavoro autonomo, saranno concentrate sul ceto medio, le ditte individuali e gli autonomi. Di fatto, 7 miliardi di euro serviranno a “ritoccare” le aliquote Irpef, portandole dalle attuali cinque, a quattro, già a partire dal 2022.
Ecco dunque cambieranno gli scaglioni: fino a 15 mila euro l’aliquota resterà al 23%; da 15 a 28 mila euro lo scaglione scenderà di due punti, passando dal 27% al 25%. I redditi da 28 a 50 mila euro invece avranno un imponibile del 35%, quindi con un taglio di tre punti, mentre oltre i 50 mila euro scatta la trattenuta al 43%. Va via dunque lo scaglione del 41%. Secondo la simulazione del quotidiano Repubblica, il beneficio per un reddito di 60 mila euro può arrivare fino a 970 euro, e poi arriva a 270 euro per chi ne guadagna da 75 mila in poi. Chi ha 45 mila euro di redditi ne risparmierà 770. Sicuramente meno sostanzioso il risparmio per le fasce più basse: chi ha redditi imponibili per 20 mila euro risparmierà soltanto 100 euro, 320euro chi ne ha per 30 mila. Insomma, il grosso del vantaggio sarà per le fasce 30- 60 mila e riguarderà, secondo l’Ansa, circa 7 milioni di contribuenti. Poco da festeggiare per il ceto medio – basso, la maggioranza della forza lavoro. Resta anche da vedere come andrà a finire con la rimodulazione delle detrazioni, che potrebbero andare ed erodere parte dei risparmi ottenuti con questa rimodulazione.
Sul fronte Irap, la tassa più odiata dalle imprese, il governo ha previsto una riduzione per un miliardo di euro, che servirà ad abolirla per i liberi professionisti e le ditte individuali.
Il governo giudica questa manovra “un primo passo per una riforma strutturale”, già iniziata con l’introduzione dell’assegno unico per i figli. La direzione pare essere quella della semplificazione, che però dovrà essere accompagnata dalla giustizia sociale e, per una volta, senza togliere da una parte e aumentare dall’altra, come è sempre stato fatto con l’Imu, serbatoio da cui attingere per sistemare i bilanci da presentare a Bruxelles. Intanto, sarà già il costo dell’energia ad assorbire parte del risparmio: i 3 miliardi stanziati non bastano. Resta poi la spada di Damocle: il costo del lavoro altissimo e gli stipendi bassi. Senza una crescita degli stipendi ogni abbassamento di tasse sarà solo un cane che si morde la coda, perché i benefici sui consumi sono minimi e non innescano una marcia in più nelle entrate dello Stato, che a sua volta dovrà intervenire per tenersi nei parametri UE, per ora sospesi, ma che torneranno a bussare alla porta.