Riuscire a trasformare un periodo della storia europea e dell’umanità in generale in un film delicato e positivo è un esercizio quasi impossibile. L’autore del libro “Storia di una ladra di libri” Markus Zusak con la storia, e il regista del film Bian Percival con le sue inquadrature, ci pongono davanti uno scenario in equilibrio possente sulla pazzia del momento storico della seconda guerra mondiale e la capacità di far fronte alle difficoltà quotidiane. Abituati al solito approccio sui film sull’Olocausto di come hanno vissuto la tragedia ebrei ed oppressi, qui ci troviamo con l’obiettivo della telecamera ed interpretativo rovesciato.
Il punto di vista è quello di una famiglia media tedesca, che vive il nazismo subendolo e opponendosi come riesce alla banalità del male. Il titolo e l’intero svolgimento sono interconnessi da un filo sottile e magico che è la lettura, il piacere di sentire le storie facendole scorrere tra gli occhi e le pagine del libro come una pellicola di film, sentendole nell’aria, assaporandole sulle labbra quando si girano le pagine.
Il rubare libri è una necessità in un mondo che li brucia e Liesel, la protagonista, è costretta a farlo. Costretta dagli eventi, costretta dalla sua curiosità così pressante da poter essere solo adolescenziale. E dall’adolescenza ne esce con una chiarezza interpretativa del mondo, senza eguali. Il tra le righe di un libro diventa il tra le righe delle frasi non dette nella Germania nazista in cui vive. Alla domanda postale: Tu rubi libri? Perché? Lei candidamente risponde: Quando la vita ti deruba, a volte devi restituire il favore.
Il padre adottivo interpretato da uno splendido Geoffrey Rush (ex protagonista de “La migliore offerta”) è una figura che si muove incerta nelle vicissitudini di una vita così drammatica ma proprio per questa sua “fragilità” umana, rimane potente. Completa il quadro un personaggio onirico e ben cesellato. E’ il narratore nascosto, “La morte”, che all’inizio può sembrare solo una citazione di maniera, elemento macabro ma nello svolgimento della narrazione si trasforma in un vero e proprio Caronte bonario. Ti mette a tuo agio, ti da dei consigli su come vivere i momenti più incerti come il trapasso ed alla fine confessa il suo vero problema: “ l’unica verità che realmente conosco è che sono perseguitato dagli uomini.”
In un mondo di tablet e smartphone, un film incentrato sulla bellezza del leggere e la necessità del confronto, sembra un richiamo nostalgico. Uscendo dalla sala però, esso diventa una necessità da vivere ogni giorno, nella disperata ricerca di quello che ci accomuna: passioni, condivisione, fisicità…..scusate devo lasciarvi mi è appena arrivato un sms su Whatsapp e una foto su Istagram.
Francesco Bassino