di Mario Alberto Marchi
Sarà ripiego del momento o vera svolta?. Il ricorso al cosiddetto smartworking ha infiammato le dinamiche di lavoro dell’ultimo mese e mezzo. Come spesso accade nel nostro mercato, anche in questa occasione è stato necessario sbattere la faccia contro la cruda realtà, per fare uno scatto in avanti.
Abbiamo improvvisamente assistito a un fiorire di smartworking in settori nei quali vi si sarebbe potuto ricorrere già da un pezzo. Aziende editoriali, multimediali, di contatto diretto col pubblico, di elaborazione dati. Migliaia di lavoratori si sono improvvisamente trovati a poter lavorare da casa con i normali strumenti, solitamente utilizzati in ufficio.
Una necessità, per garantire produzione e lavoro, ma anche l’occasione per una domanda: perché non prima? Quali sono gli ostacoli?
Vediamo lo stato delle cose, prima dell’emergenza Covid.
La condizione era stata fotografata a fine 2019 dall’osservatorio del Politecnico di Milano.
570 mila gli smartworkers, in crescita del 20% rispetto al 2018,: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il restante 21% dei colleghi.
Nel 2019 la percentuale di grandi imprese che ha avviato al suo interno progetti di Smart Working è del 58%, in crescita davvero modesta rispetto al 56% del 2018.peccato, perché chi vi ricorre sembra molto soddisfatto, visto che la popolazione aziendale media coinvolta passa dal 32% al 48%.
Tra le PMI l’aumento percentuale è più importante, dall’8% dello scorso anno al 12% attuale, Ma si registra una strana radicalizzazione del rifiuto: le imprese disinteressate al tema vanno dal 38% al 51%. Come dire, che le piccole imprese ritengono di avere altro cui pensare.
È tra le Pubbliche Amministrazioni che si registra la crescita più significativa: dall’ 8% al 16% . Percentuali – però – bassissime e con un dato disarmante: il 7% delle pubbliche amministrazioni, dichiara totale disinteressato.
Ma quali sono i motivi ti tanta resistenza? La gestione degli smartworkers presenta, secondo i manager, anche alcune criticità, in particolare le difficoltà nel gestire le urgenze (per il 34% dei responsabili), nell’utilizzare le tecnologie (32%) e nel pianificare le attività (26%), anche se il 46% dei manager dichiara di non aver riscontrato alcuna criticità. Se si interrogano gli smartworkers, invece, la prima difficoltà a emergere è la percezione di isolamento (35%), poi le distrazioni esterne (21%), i problemi di comunicazione e collaborazione .
Eppure l’emergenza Covid pare avere abbattuto d’improvviso molte barriere.
L’Osservatorio 4.Manager ha analizzato il flusso degli utenti Google nelle ricerche di parole chiave rapportabili allo smartworking nei 90 giorni tra il 9 dicembre 2019 e il 9 marzo 2020, attraverso chiavi di ricerca quali smartworking, come “lavoro da casa”, “lavoro agile”, “telelavoro”. L’ultimo mese ha segnato un innalzamento esponenziale delle ricerche, a fronte di un andamento piatto nei mesi precedenti. Le ricerche per Regioni hanno mostrato picchi in Lombardia, e nel Lazio .
Si è fatto di necessità, virtù, vincendo anche resistenze culturali fino ad ora importanti, ma ora si pone il problema della continuità.
Chi fa ricorso alla smartworking , abbiamo visto che fa registrare un grado di soddisfazione superiore alle perplessità, ma non si tratta solo di mentalità e cultura: troppo facile far passar gli imprenditori- specialmente quelli piccoli – per retrogradi recalcitranti. Restano in piedi due questioni cruciali- che son poi sempre le stesse ad ostacolare molte trasformazioni del mercato del lavoro: le strutture tecnologiche e le formule contrattuali. L’adeguamento ha costi , richiede piattaforme tecnologiche pubbliche efficienti e soprattutto non si può pensare di andare ancora un volta a sbattere contro rigidità sindacali che non consentano un’adeguata flessibilità dei contratti.