di Stefano Sannino
Nel corso dei secoli, tanto si è speculato sulla Felicità. Essere felici significa essere realizzati, essere equilibrati agendo secondo virtù. Ma perché al giorno d’oggi è tanto difficile sentirsi felici?
La nostra società, ogni giorno, ci bombarda con immagini di felicità: attraverso la pubblicità viene mostrata la correlazione tra un prodotto e la nostra gioia, attraverso i film viene mostrato il rapporto di causa-effetto tra l’amore e la completezza di noi stessi.
Eppure, parlando con tutte le persone che conosciamo, ci accorgiamo che la quasi totalità di loro ha difficoltà a reputarsi o definirsi felici.
Questo perché la Felicità non dipende né dai prodotti che compriamo, né dai beni che possediamo e neppure dalle persone che amiamo. La Felicità e qualcosa d’altro, qualcosa di più complesso, di più sfuggevole che pare dipendere solamente da noi.
Ricercare la felicità attraverso i beni materiali o i rapporti personali è una strada a vicolo cieco, che ci viene inculcata fin da piccoli.
Da quando ero bambino mi sento spesso dire dalle persone a me care: “I soldi non servono a niente…se sono pochi”, con quell’atteggiamento materialista che caratterizza tutte le nostre vite, nella società Occidentale.
Ma è davvero così?
Sono cresciuto ponendomi questa domanda ogni giorno e cercando di capire quale fosse la correlazione evidente tra i miei stati di felicità ed i miei beni materiali e con mia grande sorpresa ho scoperto che non solo questo assunto che mi sentivo ripetere fosse falso, ma che addirittura la mia felicità era inversamente proporzionale alla quantità di denaro o di possedimenti che avevo in quel momento della mia vita.
Mi sono presto reso conto, che la mia felicità dipende da tutta un’altra serie di fattori assolutamente non collegati al guadagno economico.
Quando si è davvero felici?
Quando si trova il proprio equilibrio, quando si fa un lavoro che si ama, quando si trascorre il proprio tempo con le persone a cui si tiene e con cui si condividono importanti parti della nostra vita. Si è felici quando le persone vengono prima del denaro, quando il proprio appagamento è secondo alla felicità, quando la propria interiorità raggiunge la sicurezza e la consapevolezza necessaria per poter affrontare ogni difficoltà che la vita ci pone davanti. Ma sopratutto, si è felici, quando si segue la propria virtù. Attenzione però, non sto parlando necessariamente di una virtù o di un’etica di carattere religioso o politico, quanto piuttosto mi sto riferendo a quella vocina che ognuno di noi sente ogni notte ed ogni giorno della sua vita. Socrate lo chiama daimonion, noi la chiamiamo coscienza.
Quando si segue questa etica, l’etica dell’individualità, l’etica dell’equilibrio, l’etica della consapevolezza, ecco che ci si rende conto di quanto tutto il resto sia superfluo.
“E l’amore?” vi starete chiedendo. “Che fine fa l’amore in tutto questo discorso?”
L’amore non ha nulla a che vedere con la felicità. L’amore non arriva per portare la felicità, ma ne è una conseguenza. Amare implica l’amarSi, essere amati implica l’amare. Nessuno di noi ha una mitologica metà che deve ricercare nel corso della sua vita, perché ciascuno è un individuo completo, potenzialmente perfetto, capace di ricercare e trovare il suo equilibrio dentro di sè.
Quello che ci dà l’amore, altro non è se non un ennesimo appagamento, una ennesima autocelebrazione di se stessi. Perché nella nostra società, se non ami non vali niente. Se sei single, vuol dire che sei “sfortunato” o peggio, emarginato. Tutto questo bombardamento pubblicitario dell’amore e della mercificazione, in relazione alla nostra felicità, ci hanno fatto perdere la bussola di noi stessi. E così, oggi, ci trasciniamo da uno stato di appagamento all’altro, senza mai trovare lo stato emotivo definitivo.
Ci hanno insegnato che, ottenuto ciò che desideriamo (una macchina, una casa, una famiglia) dobbiamo porci subito degli altri obiettivi. E così, ciò che prima costituiva l’oggetto della nostra felicità, ora non è che un flebile trastullo di cui ci siamo stufati. Ecco allora che scegliamo nuovi obiettivi, nuovi “goals” da raggiungere per essere felici. Ma indovinate un pò: raggiunti anche quelli, ne troveremo di nuovi, in un continuo circolo di mercificazione del desiderio.
Essere felici, oggi, significa essere se stessi ed amarsi per ciò che si è. Rompere questo circolo vizioso di desiderio – appagamento – desiderio è assolutamente necessario per poter aspirare a raggiungere quella felicità definitiva che nulla ha a che vedere con l’appagamento momentaneo. Solo così, potremmo davvero dire di aver vissuto. Solo così, potremmo vincere questo braccio di ferro contro il Tempo, che siamo destinati a perdere. Ed io, dal canto mio, preferirei vivere solo un altro giorno da uomo felice, che trascinarmi in altri mille giorni da uomo semplicemente appagato.