di Giorgia Scataggia
La violenza domestica è, ad oggi, una realtà fin troppo diffusa. Quello che sentiamo sempre ripetere è che bisogna denunciare, denunciare subito, perché in questo modo tutte le donne verranno finalmente protette. Ma non sempre le cose vanno come dovrebbero. Non sempre queste denunce costituiscono un rifugio sicuro ed a pagare caro, a volte, sono le stesse vittime assieme, purtroppo, ai loro figli.
DA ABUSATA AD ABUSANTE.
La paura più grande che assale una donna che ha subito violenza da parte del coniuge e che si trova in procinto di sporgere denuncia è quella di non venire creduta, di non essere tutelata. Quando ci sono dei figli, queste sensazioni sono amplificate dal terrore di non essere ritenuta una mamma idonea e di perdere anche il vero amore della propria vita, quello eterno ed infinito: i figli.
Non di rado, questi timori diventano realtà. Troppo spesso, infatti, denunciare il partner che attua una violenza fisica o psicologica comporta la messa in moto, da parte della legge, di un meccanismo malato secondo il quale sembra essere più importante la tutela ed il recupero dell’abusante, rispetto alla salvaguardia delle vittime. Improvvisamente, la donna non è più la parte lesa che ha diritto di essere tutelata, ma diventa lei stessa l’elemento alienante che spinge l’abusante all’abuso, rendendolo paradossalmente vittima. In casi estremi, ma purtroppo non così rari, nemmeno i referti medici che dimostrano le violenze servono a qualcosa e spesso vengono declassati a semplici “rapporti conflittuali fra genitori” dalle CTU.
IL RUOLO DEGLI ISTITUTI.
L’ultimo ingranaggio di questa macchina infernale porta alla conclusione più drammatica: il bambino viene allontanato dal genitore che ha denunciato, diventato il nuovo carnefice, per essere inserito in un istituto, in modo da creare un ambiente idoneo al graduale ricongiungimento con la nuova vittima. E mentre questi operatori muovono il mondo intero per riabilitare persone che non lo meritano e non lo meriteranno mai, nessuno ascolta il grido di questi bambini, che non solo hanno dovuto assistere loro malgrado a scene di violenza in famiglia, ma si ritrovano improvvisamente in un ambiente a loro sconosciuto, lontani dal genitore con il quale hanno costruito un legame sano e costretti a frequentare il vero colpevole dei loro traumi. Lo Stato si sta rendendo complice delle violenze, punendo nel contempo chi ama così tanto i propri figli da difenderli ad ogni costo. Punendo chi chiede aiuto.
Questa è la storia di Giada, di Bruna, di Maria, di Laura, di Susy, di Francesca, di tante mamme e di tanti papà che hanno portato la loro testimonianza su Radio Critical Break. A loro va tutto il nostro sostegno.