Eva Cantarella ci regala con il suo libro “Secondo natura, la bisessualità nel mondo antico” uno studio prezioso su un controverso aspetto della nostra storia. Il libro affronta la tematica della sessualità nella Grecia e nella Roma antiche sottolineandone similitudini e differenze con un’analisi antropologica e storica profonda che parte da varie fonti (la letteratura, la filosofia, il diritto) per cercare di comprendere la realtà superando leggende metropolitane e false credenze dettate spesso dal pregiudizio.
L’autrice ci descrive così un mondo sconosciuto fatto di rapporti omosessuali diffusi, ma regolati da una morale spesso rigida. In Grecia la pederastia era un’istituzione educativa dalla grande rilevanza sociale. Il rapporto omosessuale consentito dalla morale cittadina era dunque quello tra un uomo adulto e un ragazzo. L’adulto (erastes) educava il giovane (eromenos) alla vita e ai valori civici, avendo in cambio l’amore. Tale rapporto era rigidamente normato dalla morale e dalla legge. L’eromenos, che doveva avere almeno dodici anni, non doveva cedere subito alle lusinghe e al corteggiamento dell’erastes. Doveva dimostrarsi degno di amore, doveva cedere solo davanti alla dimostrazione che le intenzioni dell’adulto erano serie e non solo sessuali.
Giunto all’età adulta, il ragazzo doveva abbandonare il suo ruolo di eromenos, chiudere la relazione e divenire a sua volta amante. La morale greca distingueva tra attivo e passivo e non tra eterosessuale e omosessuale. Il ruolo attivo era quello dell’uomo libero, il quale non poteva farsi sottomettere (adeguandosi alla passività), ma doveva dominare ed educare. Il ruolo passivo era destinato invece alle donne e ai ragazzi. Le donne infatti erano, secondo la cultura Greca, inferiori per natura e quindi dovevano essere sottomesse. I ragazzi invece potevano farlo perché non ancora adulti, non ancora pronti a svolgere il ruolo civico e sociale dell’uomo. La loro sottomissione era dunque quella dell’allievo al maestro.
Completamente diverso è il discorso sulla Roma antica. Il romano era convinto di essere superiore agli altri, di dover dominare il mondo. E tale convinzione si rispecchiava nella sua sessualità. Il vero maschio romano aveva una mentalità da “stupratore”, doveva prendere la sua preda con forza e sottometterla al suo volere. Ma nei rapporti omosessuali questo generava un problema morale. Un cittadino romano non poteva sottomettere un altro romano e ancor meno poteva farsi sottomettere. A Roma, quindi, era ritenuto lecito per un uomo il solo ruolo attivo. Il rapporto omosessuale non era condannato in quanto tale. Era però lecito solo con uomini inferiori di condizione ovvero stranieri, schiavi o prostituti. Il ragazzo romano non doveva subire un rapporto con un uomo. La sottomissione non poteva, secondo la mentalità romana, essere educativa per un individuo che sarebbe dovuto diventare un dominatore. Nella Roma repubblicana la legge proibiva i rapporti coi ragazzi (pueri) condannandoli come stupro, sia che il ragazzino fosse consenziente, sia che non lo fosse.
Col tempo però le cose cambiarono. Con l’ellenizzazione di Roma si diffuse la pratica dell’amore per i ragazzi, ricalcando formalmente il modello greco. Si tratta però di una identità solo formale. Il rapporto con i pueri non ebbe mai a Roma un carattere educativo e pedagogico e l’uomo adulto restava pur sempre lo stupratore di un tempo, anche se rivestito di raffinatezze poetiche e corteggiamenti amorosi. Ce lo dimostra il caso di Catullo. Se infatti egli scrive dolci strofe per Giuvenzio, il ragazzino capriccioso che lo fa disperare, scrive anche versi di ben altro tono verso chi vorrebbe rubargli i favori di Giuvenzio e a tal scopo sparla di lui:
In culo e in bocca ve lo metterò
Aurelio patico e Furio cinedo.
Poco virile mi credete, voi,
perché son molli i miei versetti?
Conviene che il poeta, lui, sia puro:
ma i versi no.
Ecco dunque tornare lo stupratore romano, che toglie la virilità ai nemici mettendoglielo “in culo e in bocca” e chiamandoli “patico” e “cinedo” ovvero effeminato e castrato. E si nota anche come la dolcezza e la tenerezza siano cose “non pure” per un vero maschio.
I ragazzi stessi sono descritti in modo diverso da quelli greci. I pueri che si concedono amano farsi corteggiare, amano giocare con gli amanti e con la loro gelosia, sono capricciosi. Un simile comportamento denuncia la mancanza del ruolo sociale del rapporto tra erastes ed eromenos.
Il trattato si occupa soprattutto di bisessualità e omosessualità maschili. L’omosessualità femminile rimane, in entrambe le società descritte, nell’ombra, per mancanza di fonti. Eccezion fatta per Saffo, non si hanno opere letterarie che ne parlino, ma solo accenni in opere scritte da uomini. La donna in Grecia era esclusa dalla vita sociale mentre a Roma era comunque sottomessa al marito. L’amore lesbico non era tema degno di letteratura e gli accenni che se ne danno sono più che altro di condanna. Non poteva essere accettato un amore che escludesse l’uomo dal suo ruolo.
Infine la Cantarella accenna alla visione cristiana ed ebraica dell’omosessualità e di come si giunse al cambiamento morale e legislativo nella Roma imperiale. Interessante l’analisi della morale pagana degli ultimi secoli. La società era già cambiata e il cristianesimo ha solo suggellato un cambiamento in atto, portandolo alle massime conseguenze. Cosa curiosa: diversamente dal paganesimo, il cristianesimo non condanna apertamente il rapporto lesbico. Anche nei testi biblici si parla sempre e solo di rapporto omosessuale tra maschi. Secondo la studiosa c’è un motivo sociale. Il sesso per gli ebrei era riproduttivo. Un uomo che giace con un altro uomo viola il suo ruolo di riproduttore e spreca il seme. Una donna, anche se ha rapporti con altre donne, può comunque essere madre, soprattutto se si considera il fatto che non è lei a decidere con chi sposarsi e fare figli. Nella società ebraica dei tempi biblici, infatti, la decisione spettava al padre che contrattava il matrimonio con i vari pretendenti e decideva infine a chi concedere la figlia.
Un libro da leggere sicuramente. Un valido trattato storico e un testo che dà tanti spunti di riflessione, anche sul nostro mondo e la nostra società.
Enrico Proserpio