Siamo alle solite, Israele è sotto attacco, la sua popolazione è presa di mira dal lancio di missili da parte di Hamas e per i media occidentali pare sia tutto normale. Israele reagisce colpendo le postazioni dei terroristi per difendere il suo sacrosanto diritto di esistere, ed ecco che la servile stampa occidentale parla addirittura di genocidio.
Ovviamente lo scopo di questi servi della “Palestina” è infangare Israele ed il suo Governo, negare al Popolo di Israele il diritto di esistere e di difendersi, negare l’esistenza ed il riconoscimento dello Stato Ebraico e i lettori, ovviamente, privi di uno spirito critico, ci cascano e danno, a loro volta, il via a proteste anti-israeliane. A tutti dispiace che vi siano dei bambini tra le vittime, ma perché avviene?
Diciamo una volta per tutte la verità. Hamas concentra le sue postazioni di lancio di missili nel cuore dei centri abitati, in mezzo alla popolazione civile, sui tetti dei palazzi e degli ospedali, nei cortili delle scuole e nelle immediate vicinanze delle moschee, usando, e talvolta costringendo, la popolazione inerme, ad essere scudi umani.
L’autorità palestinese ed Hamas, negli ultimi giorni, sono arrivati al punto di dichiarare che è giusto, e non escluderei che sia un dovere dal punto islamico, morire in tal maniera, ossia in qualità di scudo umano per difendere le postazioni dei terroristi.
Molti, ovviamente, si chiedono: come mai muoiono tanti palestinesi mentre in Israele ci sono stati “solo” dei feriti? Presto detto. Israele tende a difendere la sua popolazione, i suoi figli. In tutte le città sono disseminati rifugi anti-missile, sirene d’allarme che avvisano la popolazione a trovare un riparo, entro 15 secondi. Israele, inoltre, si è dotato di un sistema anti-missile Iron Dome (cupola d’acciaio) col quale intercetta e distrugge in volo il 90% dei razzi lanciati da Hamas. A differenza dei governati, o presunti tali, della Palestina, Israele non usa la sua popolazione come scudi.
L’esercito israeliano, Tsahal, inoltre, anche nella Striscia di Gaza, tende a non colpire la popolazione civile: prima di ogni attacco avvisa la popolazione ad allontanarsi da eventuali obiettivi e quando il target è un palazzo residenziale, l’esercito di Israele contatta gli inquilini con telefonate ed sms, allertandoli dell’imminente attacco. Questa è la verità.
Torniamo alla macchina del fango dei servi occidentali e per far meglio comprendere come i giornalisti venduti al nazislamcomunismo lavorano e, a tal fine, facciamo un salto nel passato, al 12 ottobre 2000, quando a Ramallah un gruppo di palestinesi catturò e uccise dei riservisti israeliani.
Partiamo dalla testimonianza di un fotoreporter inglese, Mark Seager, che fu l’unico testimone oculare di quei fatti: ”Ero arrivato a Ramallah alle 10:30 e stavo andando in taxi verso Nablus, dove doveva tenersi un funerale che volevo fotografare, quando all’improvviso vidi una folla di palestinesi urlare e correre verso la stazione di polizia. Scesi dal taxi per vedere che cosa stava succedendo e vidi che stavano trascinando qualcosa dietro a loro. Nel giro di pochi secondi il gruppo giunse di fronte a me e, con mio orrore, vidi che era un corpo, un uomo trascinato per i piedi. La parte inferiore del corpo era in fiamme e la parte superiore era stata colpita da proiettili ed era stata pestata così furiosamente che era come polpa rossa, come gelatina rossa. Ho pensato che fosse un soldato perché potevo vedere quel che rimaneva dei calzoni kaki e degli stivali.
Mio Dio, ho pensato, hanno ucciso quest’uomo. Era morto, doveva essere morto, ma stavano ancora pestandolo, come ossessi, calciando la sua testa. Erano come bestie. Tutto si svolgeva a pochi metri da me, potevo vedere tutto. Istintivamente, presi la macchina fotografica e stavo sistemando l’inquadratura quando sono stato colpito in faccia da un palestinese. Un altro palestinese mi puntò minacciosamente un dito verso di me ed urlò “no foto, no foto!” mentre un altro mi colpì di nuovo in faccia dicendomi “dammi il rullino!” Cercai di tirare fuori il rullino ma più persone mi stavano strattonando ed uno di loro mi strappò la macchina fotografica di mano e la scaraventò per terra. Sapevo che avevo perso l’occasione di fare una foto che mi avrebbe reso famoso, e avevo anche perso il mio obiettivo preferito che avevo usato in tante parti del mondo, ma non mi importava. Iniziavo a temere per la mia vita. Nello stesso momento, l’uomo che sembrava un soldato continuava ad essere massacrato e la folla diventava sempre più esaltata, gridando “Allah Akhbar” . Stavano trascinando il corpo dell’uomo sulla strada come un gatto che gioca con un topo.
E’ stata la cosa più orribile che io abbia mai visto, e io sono stato in posti come Congo, Kosovo. In Kosovo, ho visto dei serbi picchiare un albanese, ma non era così. C’era così tanto odio, un odio così profondo e tanta rabbia che distorceva le facce dei palestinesi. Improvvisamente mi resi conto che stavano iniziando a rivolgere verso di me lo stesso odio che avevano verso il soldato prima di trascinarlo fuori dalla stazione di polizia ed ucciderlo. In qualche modo mi liberai dalla loro presa ed iniziai a correre via, senza ben sapere dove stessi andando. Non ho visto l’altro uomo ucciso, quello che hanno filmato mentre veniva buttato fuori dalla finestra. Pensavo di conoscere ormai bene i palestinesi. Avevo fatto sei viaggi già quest’anno in Cisgiordania ed ero andato a Ramallah ogni giorno negli ultimi 16 giorni. Pensavo fossero persone gentili ed ospitali. So che non sono tutti così, ed io sono una persona che perdona, ma non dimenticherò mai più quello che ho visto.
E’ stato omicidio nel modo più barbaro concepibile. Quando ci penso, rivedo la testa di quell’uomo, fatta a pezzi, so che avrò incubi per il resto della mia vita. Quella notte, quando rientrai a Gerusalemme, scoprii che ero stato l’unico fotografo presente, e la gente continuava a chiedermi se avevo le foto, dicendomi che mi avrebbero reso celebre. Fui così scioccato dall’esperienza che per la prima sera non chiamai la mia ragazza che era a casa a Londra, incinta di 5 mesi con il nostro primo figlio. Naturalmente lei era preoccupata, perché aveva visto quello che era successo in televisione e sapeva che ero a Ramallah e che non avevo chiamato. Era sconvolta anche lei, e quando le parlai il giorno dopo mi chiese se avevo visto. Le risposi semplicemente “sì”, ma non riuscivo a parlarne. Successivamente, ho sentito dettagli ancora più raccapriccianti, come il fatto che la moglie del soldato lo aveva chiamato al cellulare per sentire se stava bene e le hanno risposto dicendo che lo stavano uccidendo. Da quello che ho visto, posso credere che abbiano fatto una cosa del genere. Amo questo paese, e la cosa che desidererei sopra ogni altra è vedere israeliani e palestinesi condividere un narghilè, ma dopo l’odio che ho visto negli ultimi giorni, non penso che questo avverrà nel corso della mia vita. Non ho scattato la foto che mi avrebbe reso famoso, ma almeno sono vivo per vedere la nascita di mio figlio“.
Le televisioni italiane non ne parlarono o mandarono in onda poche immagini, ad esclusione di un telegiornale di Mediaset. La Rai invece, raggiunta dalla protesta dei palestinesi, quattro giorni dopo il servizio inviò la seguente lettera: “Chiarimenti speciali dal rappresentante italiano della rete televisiva ufficiale italiana. Miei cari amici di Palestina, ci congratuliamo con voi e crediamo che sia nostro compito mettervi al corrente degli eventi che hanno avuto luogo a Ramallah il 12 ottobre. Una delle reti private italiane, nostra concorrente, e non la rete televisiva ufficiale italiana RAI, ha ripreso gli eventi; quella rete ha filmato gli eventi. In seguito la televisione israeliana ha mandato in onda le immagini così come erano state riprese dalla rete italiana e in questo modo l’impressione del pubblico è stata che noi, cioè la RAI, avessimo filmato quelle immagini. Desideriamo sottolineare che le cose non sono andate in questo modo perché noi rispettiamo sempre e continueremo a rispettare le procedure giornalistiche dell’Autorità Palestinese per il lavoro giornalistico in Palestina e siamo attendibili per il nostro lavoro accurato. Vi ringraziamo per la vostra fiducia e potete stare certi che questo non è il nostro modo d’agire (ossia nel senso che non lavoriamo come le altre reti televisive). Non facciamo e non faremo cose del genere. Vi preghiamo di accettare i nostri migliori auguri. Riccardo Cristiano Rappresentante della rete ufficiale italiana in Palestina”.
Quali sono le procedure giornalistiche “consigliate” dall’Autorità Palestinese? Riflettiamo!
Gian Giacomo William Faillace