di Abbatino
Non poteva che finire così, lo scontro è servito. Non due uomini, Musumeci e Conte, ma due istituzioni, due architravi dello stato repubblicano, regione e governo. Non si tratta delle solite scaramucce, della solita campagna elettorale permanente che contraddistingue la politica italiana, chi vuole buttarla in politica così agevolmente non ha capito il problema. In Sicilia non si vota a settembre. Non si vota per le politiche, almeno fino al 2023. In Sicilia suona la rivolta, ma contro un sopruso: l’obbligo di accettare supinamente un governo che lascia arrivare migliaia di clandestini, in barba alle norme che regolano l’immigrazione in Italia; e non veniamo a raccontarcela, sono due mesi che Lampedusa e la Sicilia sono allo stremo, ma niente è stato fatto. Chiudere le strutture di prima accoglienza dei migranti dell’isola è la logica conseguenza, della situazione sanitaria fuori controllo e delle regole che gli stessi ospiti non rispettano, fuggendo dalle loro responsabilità che hanno innanzitutto verso il paese che li accoglie. Negli hot spot non esistevano norme igienico sanitarie poiché già affollatissimi, figuriamoci adesso con la promiscuità cosa può accadere con il Covid che imperversa. Ebbene, perché non tutelare la salute di tutta l’isola chiudendo i focolai incontrollabili, bacino di nuovi contagi per tutti? Forse deve essere ancora più chiaro; il virus combattuto per mesi sta uscendo dalla porta, ma è pronto a rientrare dalla finestra.
Allora tra l’eletto presidente Musumeci e il non eletto latitante presidente del consiglio Conte, non si può che stare al fianco del primo, che ha deciso di non latitare e dare un chiaro segnale di rivolta contro le politiche immigrazioniste di un governo senza consenso.