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sabato, 23 Novembre, 2024

Saracinesca bassa e testa alta

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di Gabriele Rizza

Se ami l’Italia mantieni le distanze, se vuoi salvarla pensa e agisci assieme. Questo è lo spirito del flash mob organizzato ieri sera dal Comitato Ristoratori Catanzaro, che riunisce 214 piccole imprese. Davanti all’assenza di chiarezza, di ascolto e di aiuto da parte del Governo e della Regione, le saracinesche si sono alzate, non per trasgredire alle norme di sicurezza, ma per dimostrare che “tutta l’Italia è ancora viva, siamo noi ad illuminare le strade e a tenere viva questa nazione”, come affermato dal Presidente del comitato, Antonio Alfieri. Fino ad ora bar, ristoranti e pizzerie sono rimaste chiuse e lo rimarranno fino al primo giugno, dal 4 maggio si potrà invece lavorare d’asporto.  Situazione che comporta più perdite che guadagni, e più perdite significa più debiti e più licenziamenti, soprattutto quando gli aiuti predisposti sono pochi, quando arrivano. Come spiega ancora il Presidente del comitato: “I seicento euro sono attualmente arrivati al 30% degli imprenditori, agli altri no perché sono finiti i fondi, anche i soldi della casse integrazione ancora non sono arrivati a nessuno. Il punto è che anche se arrivassero a tutti, non basterebbero per permetterci di continuare a lavorare: un ristorante che paga quattromila euro di fitto per avere cento posti a sedere non potrà vivere pagando lo stesso affitto avendo però venti posti a sedere per via del distanziamento”. Il risultato è che gli imprenditori saranno costretti a restare chiusi anche dopo l’1 giugno per non essere sommersi dai debiti. Il comitato non chiede di tornare a febbraio, a una situazione ad alto rischio contagio: “L’unica forma di aiuto valida che può essere data alle piccole aziende è dare un contributo a fondo perduto per coprire i costi fissi (per esempio affitto e tasse comunali, alcune sono stati rinviate ma non sospese). Non parliamo di mancati incassi e calo del fatturato ma solo di un aiuto per i costi fissi e le casse integrazioni fino a fine epidemia. Siamo disposti a restare a casa anche fino a settembre, evitando i rischi contagi, e ripartire poi con le tasche vuote ma senza debiti”.

La posta in gioco va aldilà del settore della ristorazione e abbraccia il tessuto sociale dell’intera economia calabrese, fondata sulla piccola impresa: “La nostra economia non è legata alla grande impresa, all’industria e al terziario avanzato. Il settore trainante negli ultimi anni è stata la ristorazione di qualità, fondata sul buon cibo e l’artigianalità dei nostri fornitori, tutte piccole imprese radicate nel territorio, dal piccolo birrificio al produttore di formaggi. Il governo non sta tenendo conto delle diverse realtà locali” sostiene Zenebi Procopio, membro del Comitato. La possibilità di una reazione a catena, in negativo, è dietro l’angolo. Si ferma il ristorante, i dipendenti rischiano il posto, i fornitori hanno meno ordini e saranno costretti a loro volta a licenziare.

Il senso di responsabilità fino ad ora è stato alto, pur dovendo pagare colpe non proprie. Marco Rizzitano, titolare di un’attività, ha preferito abbassare la saracinesca durante i primi due mesi di lockdown, pur potendo lavorare a domicilio: “Ho deciso di aspettare l’evoluzione epidemiologica perché, pur potendo lavorare in sicurezza a domicilio, avrei messo in moto tutti i miei fornitori che lavorano nella regione, aumentando il rischio contagio. Ho rinunciato a qualcosa, ma ho fatto la mia parte, come tutti gli altri addetti ai lavori”. E adesso ci si trova non solo senza aiuti, ma anche senza alcuna risposta certa.

Resta, infine, la totale incertezza sul futuro. Il governo non ha ancora chiarito in che modo dovranno far fronte gli imprenditori alle spese di sanificazione e di messa in sicurezza dei locali: “Ho calcolato che la sanificazione quotidiana del mio locale di 40 metri quadri costerebbe 0,80 centesimi a metro quadro. Un ulteriore affitto totalmente a mio carico”.

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