Me le ricordo ancora le domeniche a Malpensa.
L’azienda di papà, una delle molte nel settore del mobile, vendeva in Russia, negli Emirati ed in altri stati europei e non di rado io ed i miei fratelli lo accompagnavamo a prendere in aeroporto questo o quell’architetto di ritorno da un viaggio, per noi bambini, lunghissimo.
Me lo ricordo ancora l’immenso finestrone che dava sulla pista di atterraggio, tutti gli aerei in fila: Air France, British, Aeroflot e poi lei, Alitalia.
Bellissima nella sua coda tricolore, con i nomi dei grandi della nostra storia dipinti sulla carlinga, a dare una anima a quei coraggiosi aerei che fendevano il cielo.
Un sogno ai tempi, una triste tragedia oggi.
Per l’ennesima volta, infatti, siamo di fronte al prolungamento interminabile delle sofferenze della nostra compagnia di Bandiera.
In un mercato nazionale nel quale tra le prime dieci grandi compagnie una sola è pubblica ed è in perdita, la politica resta ferma a decenni fa, parlando ancora di nazionalizzazioni e di Alitalia quale azienda strategica.
Nulla di più distante dalla realtà.
Nel 2017 negli aeroporti italiani sono transitati più di 170milioni di passeggeri, + 6,2% rispetto al 2016 e praticamente triplicati dal 1997. L’aeroporto di Roma Fiumicino vede passare annualmente più di 40milioni di passeggeri, quello di Milano Malpensa più di 20milioni ed il primo vettore italiano è Ryanair, con più di 36milioni di passeggeri trasportati ogni anno.
La nostra Alitalia, nel suo essere strategica, trasporta solo il 2% dei passeggeri europei e l’8% di quelli internazionali dimostrando di avere carenze competitive sia a corto, che a medio che a lungo raggio.
Verrebbe appunto da chiedersi dove sia questa necessità strategica di far pesare ulteriormente ai contribuenti il mantenimento di una azienda pubblica in caduta libera.
Secondo Di Maio la nazionalizzazione porterà ulteriore turismo, un’affermazione priva di qualsiasi fondamento o valutazione e che, anche qualora si verificasse, vedrebbe in realtà l’aumento di trasporti per le compagnie aeree private e concorrenziali, specie apprendendo la volontà del ministro del lavoro di non effettuare in futuro esuberi sul personale della compagnia di bandiera, ipotesi che potrebbe essere formulata da Delta ed Atlantia, soggetti che due cose in più sulla gestione aziendale le sapranno anche.
Salvini, che di economia ne capisce quanto di politica estera, ne fa invece una questione tra Stati:
“Mi interessa che non ci sia una compagnia di bandiera venduta o svenduta a compagnie estere che poi ovviamente farebbero gli interessi dei loro paesi: è chiaro che ognuno tira l’acqua al suo mulino”.
Dichiarazione che potrebbe essere sì realistica, se solo esistesse ancora una compagnia aerea sotto controllo statale (oltre ad Alitalia ovviamente). La stessa AirFrance vede lo Stato di Francia come azionista di minoranza e quindi per nulla in controllo dell’azienda.
Una dichiarazione peraltro già smentita dal nostro vivere quotidiano. Le compagnie private (ossia tutte) fanno i propri interessi e non quelli dello stato di residenza, talvolta di sola residenza fiscale. Un’azienda privata ragiona, come tutti sappiamo, per criteri di efficienza e concorrenzialità e si confronta con le continue sfide che un mercato in costante crescita sia di domanda che di attori produce.
Lo sappiamo noi, ma non lo sanno Salvini e Di Maio per i quali sarebbe tempo di organizzare uno stage lavorativo da qualche parte, così da entrare in possesso delle nozioni base dell’economia di libero mercato nella quale viviamo.
Attualmente quindi Alitalia non è un’azienda strategica, non verrà privatizzata ed anzi rischia di schiacciare sotto l’enorme peso dei suoi debiti le virtuose Ferrovie dello Stato che nel 2018 hanno guadagnato quanto Alitalia ha perso: 540milioni di introiti a fronte di 500milioni di perdite nella compagnia aerea.
Una visione che di strategico non ha nulla e che va contro qualsiasi razionalità di mercato.
Ma a nessuno importa realmente della salute di Alitalia, a nessuno importa vederla fallire nel pubblico o provare a risollevarla, come molte altre ex compagnie di bandiera hanno fatto, nel privato. Quello che conta è l’ennesimo slogan vuoto e demenziale, ossia che gli stranieri, gli stessi che già con Ryanair, Easyjet, British, Lufthansa, ecc ci portano comodamente ed economicamente a spasso per l’Italia o per l’Europa, non ci “arrubbino il turismo”.
Roberto Donghi