No, no sono i salari la voce d’abbassare nel costo del lavoro. Anche perchè più bassi di così, proprio non si può.
Ce lo dice uno studio delle Fondazione Di Vittorio, che mette a confronto i salari da lavoro dipendente italiani con quelli dei principali Paesi dell’area Ocsa; e – tanto per cambiare – il confronto è impietoso.
Cominciamo con un dato interno assoluto: nel 2019, i salari medi italiani sono risultati più bassi addirittura del 2007. Peggio di noi non ha fatto nessuno, più o meno come noi la Spagna.
Nel nostro Paese, un lavoratore dipendente medio percepisce un salario in media di 30.000 euro lordi annui. In Germania, oltre 42.000, in Francia quasi 40.000.
Nella narrazione popolare, si dice a questo punto che è logico, perchè “all’estero lavorano di più”, ma si tratta di una falsa credenza. Il monte ore lavorate di un dipendente italiano è infatti uno dei più alti d’Europa; per capirci, un lavoratore tedesco totalizza 1363 ore annue, contro il suo collega italiano che ne lavora 1730.
Guardando fuori dall’Europa, risulta che un nostro dipendente lavora perfino più dei mitici giapponesi.
Ma allora perchè un lavoratore italiano guadagna così poco?
Innanzitutto. il livello di specializzazione professionale è molto basso. Prevalgono insomma le figure con qualifiche con profili inferiori e questo è da attribuire agli scarsi investimenti sia pubblici che privati nella formazione, specialmente legata all’innovazione tecnologica. Questo fattore ha poi un risvolto sociale “grave” spalmato negli anni, cioè il blocco del cosiddetto ascensore sociale, il meccanismo che dovrebbe consentire un miglioramento di condizione lavorativa sia nell’arco della vita del singolo lavoratore, sia nel corso delle generazioni.
C’e’ poi troppa rigidità nelle scelte contrattuali, con una grande resistenza – ad esempio – nel ricorso volontario al part time: non si tratta di un fattore meramente psicologico, ma esclusivamente retributivo, visto che in Italia il tempo parziale risulta avere una penalizzazione salariale media del 30%, quando negli altri Paesi dell’eurozona, la media è del 17%.
C’è l’errore storico di voler dare ossigeno alle imprese, tenendo ferme le retribuzioni dei lavoratori. Il risultato è un impoverimento di massa che porta a una contrazione dei consumi, a una “stanchezza” generalizzata del mercato del lavoro e un inceppamento dell’ingranaggio sociale.
Ora siamo però di fronte a una scelta definitiva: L’emergenza covid impone una svolta chiara, senza ambiguità. Le imprese vanno sostenuto con progetti a lungo termine, che però non possono più alimentare un conflitto con la forza lavoro, ridotta allo stremo, almeno tanto quanto la classe imprenditoriale medio-piccola.
Anche per il bene dei lavoratori è urgente agire sul piano fiscale, liberare risorse a spingere in avanti un lavoro che ora è davvero troppo lontano dal concetto che lo fece considerare cardine della nostra costituzione.