di Susanna Russo
È Marzo 2020 ed Emmanuel Macron e la moglie Brigitte per dimostrare che sia sbagliato avere paura, che non serva mortificare le proprie abitudini e sia possibile, anzi importante, continuare a vivere la propria socialità, nonostante inizi a dilagare il virus, si fanno vedere a teatro. Certo, si sarà poi costretti, come nel resto d’Europa e del mondo, a fare un passo indietro e rassegnarsi all’idea che la quotidianità di tutti dovrà subire un profondo e radicale cambiamento, ma ciò che conta è che per il Presidente francese espressione di normalità sia andare a teatro con la moglie. In Italia invece, nella fattispecie a Milano, per trasmettere un’idea di normalità, l’allora Segretario del Pd Zingaretti e il Sindaco Sala vanno a bersi uno Spritz sui Navigli, o invitano a farlo.
È sufficiente questo per capire la centralità del ruolo della cultura in Francia, così come in molti altri Paesi europei, rispetto che nel nostro. I fatti che seguiranno, le chiusure e le restrizioni, non saranno poi molto differenti, la crisi che ora sta attraversando il Teatro non è meno lieve altrove, ma la possibilità che ci sia una ripresa più agognata e quindi più rapida, altrove è sicuramente più verosimile. Non c’è un Paese che abbia ritenuto la cultura necessaria, ovunque è stata considerata un bene accessorio, un di più, un privilegio, forse addirittura un vezzo, un capriccio. A non essere un semplice capriccio sono invece le proteste e le occupazioni dei teatri che da ormai un mese si sono diffuse in tutto il continente.
A Parigi il 4 Marzo è stato occupato l’Odéon, teatro storico della città, per richiedere che “l’année blanche” venga prolungato, ossia che i cosiddetti “lavoratori intermittenti” dello spettacolo continuino a ricevere gli indennizzi. Perché è proprio questo che sono i teatranti, lavoratori intermittenti, ma non ai tempi del Covid, bensì tutta la vita. Questo è il disagio che è venuto a galla con la pandemia, un disagio che, assopito da tempo, non aspettava altro che esplodere, e diventare protesta, occupazione, e richiesta d’aiuto.
In Germania l’aiuto che si prova a dare è considerare il Teatro come un luogo da ripopolare insieme a bar, ristoranti, e negozi; A Tubinga è stato condotto un esperimento grazie al quale le sale sono state riempite di spettatori risultati negativi al tampone effettuato il giorno stesso. Il Commissario Regionale per la Pandemia ha dichiarato: “anche se non dovesse funzionare almeno ci abbiamo provato, è sempre meglio che non fare nulla”. Nonostante i costi, le difficoltà logistiche, e il successo incerto, in Germania s’è deciso che per il Teatro ne valesse la pena. In Italia no.
Il Covid ha portato a galla i problemi, ha messo in crisi e distrutto tutto ciò che non godeva di basi solide: rapporti umani, di coppia, d’amicizia, e famigliari, il Governo, e la Cultura. Non è vero che in Italia, soprattutto in ambito culturale, si sia fatto peggio che altrove: la pandemia ci ha colto tutti di sorpresa, stillare una lista della priorità ci ha preso in contropiede e ci ha fatto commettere dei passi falsi, ovunque e allo stesso modo. È ciò che sta all’origine che ci differenzia dagli altri Paesi, per noi la normalità è un drink, non un biglietto per andare a teatro.