di Veronica Graf
Spoglie, inquinate, maltrattate, spesso private di quel bell’aspetto che le ha viste fiorire nelle stagioni d’oro, vengono denominate come erbacce. Eppure le brughiere sono una ricchezza per la biodiversità, un nutrimento per gli insetti, una protezione per l’uomo. Per facilitare i compiti gli esperti dell’Università di Pavia hanno redatto un decalogo che aiuta chi non è del settore a capire qualcosa in più in merito. L’Italia, il Paese europeo più ricco di biodiversità, è piena di brughiere soprattutto nella Pianura Padana, trascurarle a lungo, rende il territorio più vulnerabile alle inondazioni, alla siccità, e al proliferare di agenti patogeni e di alberi comuni come la robinia, la quercia rossa o il ciliegio tardivo molto infestanti. Per salvaguardare l’ecosistema non esiste soltanto la forestazione, ma serve porre attenzione anche a tutta quella vegetazione che non è seducente come certi alberi, ma che è altrettanto preziosa. E proprio perché negli anni sono state trascurate e svilite, sono un habitat a rischio. La Pianura Padana è la loro cornice naturale il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia, ha decisori occuparsene.
Il progetto, finanziato per 1,3 milioni di euro dall’Ue e cofinanziato da Fondazione Cariplo, si chiama LIFE Drylands e ha l’obiettivo di restaurare queste terre aride tra Lombardia e Piemonte: zone che nel tempo hanno perso vegetazione, mettendo a rischio anche le specie animali che le popolavano, prime fra tutte api e farfalle. La Valle del Ticino o i Boschi della Fagiana affacciati sulla sponda lombarda del fiume, i terreni vicino a cui confluiscono il Po, il Sesia e il Tanaro, la Brughiera del Dosso vicino all’aeroporto di Malpensa sono alcuni degli otto siti che da qui al 2024 avranno una nuova vita. Sono lande che fanno a capo a tre parchi e sono incluse nella rete ecologica Natura 2000, il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. “Per mantenere gli equilibri dell’ecosistema – spiega Silvia Assini, responsabile scientifico del progetto – è necessario preservare tutti i tipi di habitat, incluse le brughiere e le praterie che ospitano specie molto attrattive per gli insetti impollinatori, i quali in questo momento purtroppo scarseggiano”.
Il lavoro, iniziato nel 2019 con il censimento e lo studio delle aree, dopo una pausa a causa della pandemia, entra nella sua piena operatività: gli studiosi dell’ateneo pavese e gli esperti dei parchi coinvolti hanno iniziato a piantumare alcune zone. Si procede per fasi. Prima di tutto la “pulizia” dei terreni: prima di essere ripopolate con vegetazione autoctona, le aree hanno bisogno di essere liberate dagli alberi e dagli arbusti che le hanno invase. Un’operazione che va in controtendenza se pensiamo a tutte le campagne di forestazione che vengono messe in campo, ma fondamentale per ridare vita a questi importanti fazzoletti di terra arida. “Tagliare gli alberi non è semplice, anche perché spesso si incontrano le proteste dei cittadini, per questo è fondamentale informare tutti del beneficio di questa azione. Non eliminiamo querce secolari, ma semplicemente alcune specie non autoctone senza nuocere minimamente all’ecosistema” precisa Silvia Assini. Poi si procede con la piantumazione di piante rustiche che non richiedono particolare manutenzione, bevono poca acqua e non hanno bisogno di fertilizzanti, l’impatto ambientale è molto contenuto. Dopo le piantumazioni, si monitorano sia lo sviluppo vegetale, sia il ripopolamento degli impollinatori e degli uccelli, e via via si creano nuove zone con caratteristiche simili.