di Abbatino
Si sa, la politica è l’arte del possibile, come ci ricordano gli epigoni della prima repubblica in salsa democristiana e le virtù italiche, a tratti, ne sono la conferma. Vi furono grandi speranze, a dire il vero non solo a sinistra, quando nel 2013 Renzi vinse le primarie del PD a scapito di un Gianni Cuperlo, d’alemiano e più sofisticato deputato triestino. Speranze alimentate, come ogni tornata alle primarie del PD, con parole d’ordine che spesso restano solo nella mente e si stampano in fronte a coloro che le pronunciano.
Nel caso, Renzi si apponeva in fronte il ruolo del “rottamatore”, non solo di qualche vecchio marpione del PD, come D’Alema, ma anche come rottamatore della vecchia politica e, nelle aspirazioni quanto meno, come rottamatore dell’Italia degli ultimi venti anni, incentrata sul binomio (reale e politico) Prodi – Berlusconi. Tanti c’hanno creduto, almeno in un primo momento. Sarà stato per l’età e la pimpante oratoria con flessioni fiorentine del sindaco di Firenze (originario di Rignano), che potevano far intravedere uno spiccato piglio, stile “auto in corsa” di marinettiana memoria o forse per la dinamica nettezza con la quale pronunciava parole di fuoco contro il “sistema” che il PD incarnava chiaramente. Premesse e promesse a parte, il Pdino neo arrivato a guidare il principale partito della sinistra subito ci stupiva con il suo “Letta stai sereno”, salendo sulle spalle della “rana” Letta come nella favola attribuita a Esopo – della rana e dello scorpione – ma non tradendo la sua indole di “scorpione” che colpisce alla prima occasione presentatasi. Il potere, sosteneva Giulio Andreotti, logora chi non ce l’ha e infatti con Letta sappiamo tutti com’è andata a finire. Renzi, il rottamatore, dopo aver fallito amaramente nella sua esperienza di governo, senza aver rottamato nulla o quasi, ha lasciato il governo ormai da tempo. Cosa resta del giovane promettente della politica italiana, enfant prodige accasato nella sintesi cattocomunista del PD? Forse resta il rottame, il prodotto di scarto della lavorazione, in questo caso politica, non sanificato, nel periodo attuale di coronavirus. Il sottoprodotto della rottamazione è un prodotto inferiore, di valore e di riutilizzo, un po’ come il ruolo politico attuale del fondatore di Italia Viva, in un periodo dove l’Italia soffre sul lato proprio della vitalità e stenta a rialzarsi. Ma non doveva rottamare gli altri? A quanto pare, ha preferito rottamare se stesso, rottamando anche le parole d’ordine della “prima ora” e tornando al vecchio, forse all’antico, rispolverando la logora ma mai dimenticata teoria dei due forni, meno politica però altrettanto, si spera, prolifica che ricorda tanto Pierferdinando Casini e meno Veltroni, meno PDS e più DC; campo di prova del “nuovo corso” renziano? Sicuramente il governo che tiene in vita per non uscire definitivamente di scena e le regionali 2020. Sì, proprio le regionali, dove addirittura la scelta non è tra sinistra e destra con la quale allearsi, bensì tra l’eterno ragazzo di sessant’anni Eugenio Giani che sosterrà con la sua lista di Italia Viva in Toscana e una lista in alternativa al PD in Puglia, contraria all’uscente Michele Emiliano di pari età, sempre del PD. Le motivazioni? Mentre l’Udc di Casini aveva una linea (si sta con chi vince chiunque sia, di destra o di sinistra), Renzi aspira a fare l’ago della bilancia come Casini a suo tempo: sta col PD in base a quanto riesce ancora a prendere. Non certo in termini di voti. Stesse premesse, probabile risultato.