Alla vigilia della sua visita a Berlino, dove incontrerà la cancelliera, Angela Merkel, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ribadisce: “Non siamo gli alunni da mettere dietro la lavagna, siamo l’Italia”. “Se facciamo bene il nostro dovere – ha poi aggiunto ai microfoni del Tg5 – noi dobbiamo essere alla guida dell’Europa e non l’ultimo vagone tra quelli ritardatari”.
“Se abbiamo fatto errori siamo pronti a rimediare, ma siamo l’Italia e dobbiamo riprenderci l’orgoglio di essere italiani”, ha aggiunto Renzi.
L’obiettivo del vertice a Berlino, al quale Renzi andrà con 6 ministri del suo governo e una delegazione di imprenditori, è conoscersi, prendere le misure, dopo quell’incontro privato e informale voluto nel luglio scorso dalla Merkel quando Renzi era ancora sindaco di Firenze. Ma già parlava di Europa in modo nuovo, tanto da colpire la cancelliera che decise di invitarlo dopo aver letto una sua intervista.
L’incontro tra Renzi e la Merkel sarà comunque politico perché sul tavolo ci sono le elezioni europee con i venti populisti che soffiano sempre più forte e una cancelliera che sa bene di non attrarre su di sé un grande consenso popolare e potrebbe apprezzare la capacità dell’ex sindaco di “svecchiare” le istituzioni. E’ chiaro che per quanto la Merkel possa apprezzare Renzi, la possibilità di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2015 con l’ipotesi di utilizzare come copertura i 2-6 miliardi ricavati dall’aumento del deficit, pur restando sotto la soglia del 3%, non può piacere fino in fondo. Ma chi è vicino al premier assicura che Renzi non intende andare a Berlino per chiedere il via libera alle sue prossime mosse. E del resto negli ultimi giorni ha più volte ripetuto come un mantra che l’Italia rispetterà gli impegni presi.
Il presidente del Consiglio taglia corto sulle polemiche sorte attorno al decreto Lavoro e, mentre continua lo scontro tra il ministro Giuliano Poletti e la Cgil, ha scelto senza incertezze da che parte stare. “Il problema – ha ribadito al Tg5 – non è discutere di norme, ma garantire la possibilità di assumere. Semplificare le norme sul lavoro non significa dare più precarietà ma consentire ai ragazzi di lavorare. A me interessano loro non gli addetti ai lavori, che siano sindacalisti o le associazioni dei categoria degli imprenditori”.
Infatti, ha proseguito, “il contratto di apprendistato, che noi cambiamo, era prima del nostro decreto legge un incubo burocratico. Cambiare quello, il contratto a termine non significa più precarietà ma consentire ai ragazzi di lavorare”. La polemica sul posto fisso, che il decreto renderebbe ancora più un miraggio, non lo spaventa: “Il posto fisso per i giovani – ha osservato – non c’è più da anni, la disoccupazione giovanile, mentre a Roma discutevano, è passata al 42%, è più che raddoppiata. E allora il problema non è stare a discutere delle norme, ma garantire la possibilità di assumere per chi vuole assumere”.
La Critica