Nell’ambito della rassegna Il Museo racconta, sabato 1 marzo, alle ore 11, con ingresso libero a tutti, la Permanente di Milano inaugura l’esposizione Raffaele De Grada. Un maestro del Novecento. Ne parlano Nicoletta Colombo, curatrice della mostra e critica ufficiale dell’opera dell’artista, ed Elena Pontiggia.
La sala dedicata a Raffaele De Grada rende omaggio a un artista del Novecento Italiano partecipe in più circostanze della vita espositiva della Permanente, dove era presente anche in occasione delle due storiche mostre del Novecento Italiano (1926 e 1929). Attraverso quindici opere significative è riassunta la sua poetica, a partire da uno dei primi saggi realizzati in gioventù, Kirche im Tessin 1913, testimonianza dell’attenzione ai modelli germanici. La predilezione per i temi di paesaggio, derivatagli dalla formazione secessionista avvenuta a Zurigo e a Dresda, non invalidava la tenuta di un’anima classicamente italiana.
La precoce conoscenza del modello cézanniano lo allineava al recupero della tradizione in chiave moderna. Al rientro in Italia nel 1919, De Grada si inseriva nel clima del Ritorno all’ordine, che per l’artista si identificava con lo studio dei primitivi senesi e di Giotto. Il recupero della tradizione si coniugava, dopo il trasferimento a Firenze del 1921, con valori di cristallina atmosfericità, riscontrabili nei dipinti Casa a Giramonte e Paesaggio dell’Elba del 1924.
L’adesione al Novecento Italiano avveniva nei termini personali di conciliazione tra il rigore strutturale dei novecentisti milanesi e l’esplicito naturalismo dei toscani.
Il saldo impianto pittorico e plastico riferito agli esempi di Cézanne e Derain, osservabile in Isola d’Elba 1924, in Mulino di Santa Chiara 1927 – di proprietà della Collezione d’arte della Permanente – e nei saggi a tema sangimignanese qui esposti, si stemperava in un lirismo soffice e argentino a contatto con la Versilia (Capanno a Forte dei Marmi 1946), dove lavorava nei mesi estivi.
L’artista sperimentava anche la composizione di figura, elemento chiave delle poetiche novecentiste (Corinna 1923 e Nudi nel bosco 1930). Nel 1929, il ritorno definitivo a Milano, sua città natale, risvegliava le istintive qualità lombarde: le forme si ovattavano in intonazioni riflessive, introverse, riscontrabili in Sobborghi di Milano 1930. A freschi esiti di mediazione tra ordine compositivo e immediatezza di sensazione si ispirava la natura morta (Aringhe sul tovagliolo 1940; La verza 1950), frutto di esercizio serio e meditato, specchio di una intensa concezione morale dell’arte.
La Critica