di Stefano Sannino
Per porci questa, banalissima, domanda dobbiamo prima circoscrivere l’ambito dell’enorme settore fashion che vogliamo prendere in considerazione. Ad oggi, tutto il settore di abbigliamento si può facilmente suddividere in categorie, le due più grandi delle quali sono certamente il sistema della “fast fashion” ( moda veloce) ed il sistema delle griffe storiche e contemporanee e dei marchi industriali. Prendere in analisi la globalità richiederebbe uno spazio ben superiore a quello di un articolo, quindi ho deciso che fosse opportuno concentrare la nostra attenzione sulla prima di queste due categorie, in quanto essa è senza ombra di dubbio la più largamente inquinante del settore moda. Quanto invece a tutto il sistema di griffe storiche, contemporanee e marchi industriali, anch’essi non sono esenti dalle feroci critiche che riguardano l’impatto ambientale del settore tessile, ma proprio per la loro attenzione posta sul lavoro sartoriale, manuale ed individuale (griffe storiche e contemporanee) rispetto al lavoro meccanizzato (marchi industriali) si può certamente immaginare, complici anche i dati alla mano forniteci dalle ricerche, che la loro impronta ecologica sia nettamente inferiore rispetto a tutto il sistema della moda veloce.
Questa industria, capace di sfornare fino a 52 collezioni annue per saziare il desiderio di acquisto della sua clientela, è stata dimostrata essere, secondo un report della Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite, responsabile del 20% dello spreco globale di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica. Pensate, che solo le emissioni di gas serra del settore tessile superano la globalità delle emissioni di gas serra di tutti i trasporti aerei e navali del mondo. Un sondaggio svolto negli ultimi anni dalle Nazioni Unite, ha inoltre dimostrato che l’85% dei prodotti acquistati dai clienti del sistema della moda veloce, viene gettato entro un anno dall’acquisto mentre solo l’1% viene riciclato, mentre una somma che si approssima al quasi 50% della produzione totale, rimasta invenduta, viene gettata dalle stesse aziende. Ma non è finita qui. Come ben potrete immaginare, per produrre una t-shirt non sono necessari soltanto impianti adatti, lavoratori e la materia prima, ma è necessario spesso anche produrre lo stesso cotone. Le piantagioni di cotone appartenenti o fornitrici del settore tessile (ed in particolare quindi della fast-fashion) sono responsabili dell’utilizzo di insetticidi di circa il 24% dell’utilizzo globale e dell’11% dei pesticidi.
Il quadro che abbiamo cercato di delineare, grazie anche agli studi che sono stati fatti dalle Nazioni Unite e dall’E. U., è estremamente drammatico. Quando scegliamo nella nostra quotidianità di acquistare una t-shirt a 2.99$ anziché a 40$-200$ non stiamo solo risparmiando denaro, ma stiamo approfittando di un sistema il cui impatto ambientale è troppo alto per poter essere sostenuto. Questi dati, non fanno altro che dimostrarci, che il lavoro manuale, artigianale, professionale ed umano vale non solo sotto il profilo economico, qualitativo e sociale, ma sopratutto sotto il profilo ambientale. Certo, anche le grandi Griffe storiche come Dior, Chanel e Gucci hanno la loro dose di responsabilità nell’impatto ambientale di tutto il sistema Fashion, ma tale impatto è decisamente inferiore rispetto a quello della sopracitata fast-fashion per due motivi principali: il primo è la quantità nettamente inferiore di collezioni annue presentate dalle griffe, che sfiora il rapporto di 4-6:52; la seconda risiede proprio nel processo di produzione: le griffe storiche possiedono impianti industriali volti alla produzione in serie di capi di Prèt-à-porter, ma comunque la loro struttura si concentra ancora maggiormente sul lavoro sartoriale e personale piuttosto che su quello industriale.
Prima di acquistare un qualsiasi prodotto, a prescindere dal budget che ognuno possiede, valutiamo bene le implicazioni della nostra scelta: è meglio comprare una t-shirt da 100$ ma che dura anni e la cui produzione ha richiesto un impatto ambientale minore, oppure acquistare 10 tshirt a 10$ l’una che getteremo l’anno seguente e la cui produzione ha richiesto un’inquinamento elevatissimo? Ancora una volta, “ai posteri l’ardua sentenza”.