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domenica, 22 Dicembre, 2024

Quando l'Italia uscì dall'Europa – Prima parte

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Carissimi lettori pubblichiamo in due puntate il breve trattato dal titolo “Quando l’Italia uscì dall’Europa. Breve pamphlet con tre note e due digressioni” di Ettore Malpezzi, scritto nel 2011 ma ancora attuale.

Il fatto

Sono passati molti anni da quando l’Italia uscì dall’Europa e dal mondo Occidentale. Quelle vicende furono molto rapide nel loro susseguirsi e semplici da raccontare, tuttavia la vera causa di quel distacco aveva ragioni più profonde e radici che affondavano per oltre 60 anni nella storia che precedeva quell’inizio del 2011.

I fatti furono veramente semplici nel loro accadimento.

Nei primi mesi del 2011 i paesi nordafricani che si affacciavano al Mediterraneo furono attraversati da un vento di rivolta che spazzò in brevissimo tempo i regimi che li governavano da diversi decenni.

Questi regimi si assomigliavano abbastanza fra loro, erano regimi autoritari, talvolta mascherati da democrazie, che si appoggiavano ai militari per mantenere il potere. Le opposizioni erano tollerate a patto che non costituissero un reale pericolo per chi era al potere, altrimenti venivano represse con la forza.

Quei regimi negli anni avevano assunto posizioni moderate in politica estera e garantivano una buona stabilità al loro interno, e per queste ragioni erano sostanzialmente appoggiati da tutti i paesi occidentali.

Le rivolte popolari che scoppiarono improvvise e impreviste in quei giorni furono, tuttavia, accolte con entusiasmo dalle élite progressiste europee che vi lessero il passaggio da regimi autoritari a sistemi democratici: le cadute delle oligarchie al potere spazzate via dalle piazze in rivolta erano il chiaro segno che quei popoli, così duramente oppressi negli anni precedenti, riacquistavano la sospirata libertà.

Era il sogno di interi popoli che si avverava, popoli che riprendevano nelle mani il loro destino cacciando gli odiati tiranni.

Ovviamente ci si sarebbe aspettato che, caduti i tiranni, i tanti esuli che erano stati costretti ad abbandonare i loro paesi, e che partecipavano entusiasti a tutti gli eventi mediatici in Europa, sarebbero corsi verso le terre natali. Sorprendentemente si ebbe un fenomeno opposto, ci fu una fuga in massa da quei paesi che finalmente avevano riottenuto la libertà cacciando governi oppressivi.

E così masse di persone dal Nord Africa e dal Medio Oriente si imbarcarono verso le coste italiane.

Ora bisogna dire che a quel tempo nei rapporti internazionali vi era la regola che un paese poteva difendere le frontiere di terra, ed eventualmente bloccare l’ingresso di stranieri non desiderati, ma non era possibile fermare chi giungeva via mare. Questa regola può apparire un po’ curiosa, ma allora era considerata estremamente avanzata e politicamente corretta.

Per la verità anche allora c’erano paesi scorretti che non la rispettavano. Ad esempio, qualche anno prima, l’Australia aveva bloccato in acque internazionali una nave carica di stranieri che intendevano sbarcare e dopo molti giorni , resistendo tranquillamente alle alte proteste dell’ONU, aveva costretto la nave verso altri lidi. Perfino in Europa la Spagna, per altro molto ammirata per le tante riforme progressiste, rifiutava sbarchi di massa, facendo perfino ricorso alle armi. Stranamente non ci furono stragi tremende, bastarono pochi casi perché una volta capito che non si poteva, quasi nessuno tentò più tali pratiche né in Australia né in Spagna.

L’Italia invece rispettò scrupolosamente questa regola e così si trovò in breve tempo invasa da masse islamiche provenienti dal Nord Africa.

Questo causò un fatto non previsto, la sua uscita dalla cosiddetta area Shengen.

Questo nome dirà poco ai giovani di oggi, ma Shengen è il nome di un piccolo centro del Lussemburgo in cui furono firmati accordi tra stati che rendevano reciprocamente aperte le loro frontiere. Quasi tutti gli stati europei facevano parte di questo trattato e così le loro frontiere erano totalmente aperte al passaggio di persone e di merci.

Ora però l’Italia era invasa da popoli non europei, così i paesi confinanti, per evitare di essere a loro volta invasi, decisero di sospendere (provvisoriamente) l’Italia dall’area. Poiché le frontiere erano di terra e non di mare la cosa non presentò particolari problemi a livello di regole internazionali. Inoltre le frontiere erano tutte lungo la catena delle Alpi e questo rese particolarmente semplice il loro controllo da parte di Svizzera, Austria, Slovenia e anche della Francia.

L’Italia venne a trovarsi in una strana posizione, intermedia fra Europa ed Africa: poteva essere considerata un pezzo di Europa proteso verso l’Africa o una terra d’Africa d’oltremare (ironia della storia).

Sebbene questi fatti appaiano molto chiari e semplici, in realtà le ragioni più profonde che portarono a quel distacco dell’Italia dall’Occidente risalivano a molti anni prima.

La caduta del muro di Berlino

Già da anni per l’Italia era cominciata una fase di declino economico e culturale.

L’Italia presentava da sempre caratteristiche culturali con tratti che la differenziavano da quelle che venivano considerate le più rappresentative e importanti società occidentali.

Innanzitutto l’etica civile non era la stessa; uno scetticismo diffuso nei confronti del valore della comunità, la mancanza di un senso di identità nazionale, l’interesse da sempre rivolto al proprio particulare e una conseguente diffusa corruzione, superiore a quella degli altri paesi dell’occidente, ne facevano un paese con alcune caratteristiche ai margini dell’area dei paesi occidentali.

Ma anche la politica in senso stretto aveva già assunto da un paio di decenni caratteristiche molto simili a quelle che proprio in quei giorni si manifestavano nei paesi nordafricani o del medio oriente.

La caduta del muro di Berlino nel 1989 aveva portato a profondi cambiamenti a livello mondiale: il mondo non fu più diviso in due blocchi, e questo ebbe ripercussioni anche in Italia la cui situazione politica riproduceva fedelmente quel modello mondiale, con la maggioranza schierata con l’Occidente e l’opposizione con il blocco comunista.

Per inciso, questa divisione mostra come sin dalla nascita della Repubblica l’Italia non fosse culturalmente e politicamente omogenea al mondo occidentale, e fosse già da allora a rischio di distacco.

La caduta del muro di Berlino nel 1989 sgretolò ovviamente anche il comunismo come ideologia, così nel 1991, con qualche anno di ritardo rispetto alla caduta del muro, anche il Partito Comunista Italiano ne prese atto e cominciò un processo di cambiamento di nomi che durò per molti anni.

I cambiamenti politici che si ebbero in Italia in seguito a quei rivolgimenti mondiali, tuttavia, non avvennero con le modalità tipiche degli ordinamenti democratici occidentali, nei quali i partiti al potere che perdono le elezioni vanno all’opposizione e sono sostituiti al governo dai partiti che le elezioni le vincono.

In Italia ci fu mani pulite, una rivoluzione per molti tratti simile a quelle che avvenivano nel terzo mondo. In queste rivoluzioni chi è al governo in genere viene cacciato per motivi etici e non politici. Questo scenario si era già presentato ad esempio in Persia nel 1979 con la cacciata in esilio dello scià e l’avvento del regime etico khomeninista. Un analogo scenario si ripresentò anche nel caso dei rivolgimenti nei paesi nordafricani all’inizio di quel 2011 che si conclusero in genere con l’esilio dei vecchi governanti.

Perché sia accaduto questo anche in Italia è abbastanza semplice da capire: il crollo del muro di Berlino segnò la vittoria culturale e politica dei partiti contrari al comunismo, e in particolare dei socialisti già da molti anni (e specialmente sotto la guida di Craxi) schierati con l’occidente contro il blocco comunista.

Così in Italia la lotta politica fu spostata dal piano della cultura politica a quello etico da parte dell’area culturale e politica che proveniva dal comunismo.

Se lo scontro passa dal piano politico (fra partiti) a quello etico (fra bene e male) si esce dagli ordinamenti di democrazie liberali e si passa a quegli scontri, già visti in paesi del Medio Oriente, in cui i cambiamenti del potere avvengono sotto la guida di élite che si proclamano portatrici della nuova e giusta etica; chi è al governo non viene mandato all’opposizione, ma è mandano in galera o in esilio (quando non è appeso ad una forca).

Così fu per Craxi che nel 1994 prese la via dell’esilio considerandolo (ovviamente) meglio della prigione.

In Italia fu la magistratura, in particolare alcune Procure della Repubblica, l’élite che assunse la guida ideologica e operativa di questa rivoluzione, che fu detta mani pulite proprio per indicarne il carattere etico, e che ebbe un inizio travolgente e grande seguito popolare.

Gli ex comunisti videro in questa rivoluzione una sorta di alternativa e un’evoluzione della dissolta ideologia comunista e vi si identificarono molto facilmente e immediatamente. I partiti che avevano avuto il comunismo come riferimento politico, e anche tutta l’élite culturale che aveva dominato la prima repubblica, si trovarono ad essere il braccio politico e culturale di mani pulite.

Tuttavia in maniera sorprendente e del tutto inattesa per i rivoluzionari, le elezioni politiche che seguirono alla cacciata della vecchia classe dirigente, non diedero la maggioranza alle forze rivoluzionarie di sinistra, ma portarono alla vittoria un tycoon milanese, Silvio Berlusconi, magnate della televisione privata in Italia, che aveva fondato un suo partito meno di tre mesi prima delle elezioni.

Questo generò sorpresa, rabbia e frustrazione nella solita élite culturale e negli elettori ex comunisti ai quali in quel periodo si era associata poi anche gran parte dell’élite economica del paese convinta che la classe politica rivoluzionaria era (come sempre) la migliore garanzia di continuità col passato.

Fine prima parte

Ettore Malpezzi

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