Negli ultimi due articoli, abbiamo parlato di Islam ed Occidente, nonché dei difficili rapporti tra queste due realtà e del pericolo che la nostra civiltà corre, essendo assediata dall’Islam.
Un aspetto che sinora non abbiamo affrontato è la differenza di appartenenza, di senso di identità, che finisce per influire su questi due mondi. Ci pare che la società dove l’Islam domina, giusto o sbagliato che sia, sa bene dove vuole andare, al punto da esprimersi anche con estremismi come l’Isis e non ultimo con la vicenda di questi giorni del giornalista free-lance James Foley, apparentemente (si attendono conferme sulla veridicità del filmato circolato su Internet) decapitato da un esponente del sedicente Stato Islamico in Iraq e nel Levante, Isis, appunto.
Il problema è a Occidente, dove abbiamo l’impressione che ci si sia ripiegati su sé stessi, dove le pulsioni che spingono al futuro sembrano essersi spente, dove l’identità si è affievolita ed ancor di più, divisa. Questo lo si vede a diversi livelli, a cominciare dall’Europa. Abbiamo, infatti, l’impressione che Lei si sia persa. Qual’è il progetto comune per la costruzione della casa Europa? Esiste ancora?
Siamo giunti, a nostro avviso, al momento in cui sarebbe necessario arrivare alla unione politica, almeno con gli Stati che ci stanno, per affrontare le sfide che bussano alle nostre porte. Tuttavia, in vista non c’è nulla di simile. Siamo divisi, stiamo guardando il nostro ombelico ignorando il Mondo che ci circonda, con pericolose derive nazionalistiche, quindi egoistiche, come si può notare in certi atteggiamenti, per esempio, della stessa Germania, che tanti danni hanno recato a partire dalla metà dell’800 sino alla fine del Secolo Breve.
Manca una visione di lungo respiro, manca una aspirazione comune. Difficile per noi individuarne le ragioni. Forse, una chiave di lettura può essere la fine della Guerra Fredda, quando, con la caduta del Muro di Berlino nel ’89, l’Occidente ha finito piano piano per “rilassarsi” e le differenze, i contrasti latenti, hanno avuto a quel punto la possibilità di emergere ed in alcuni casi prevalere, finita la paura per l’Orso Sovietico.
Un po’ in controtendenza, sono le trattative in corso dell’Europa con gli Stati Uniti per arrivare alla creazione di uno spazio commerciale comune. Di per sé, è un fatto positivo, ma anche lì, però, l’Europa si presenta in ordine sparso, per non parlare dell’Italia, che sembra disinteressarsene e che, al solito, a cose fatte, finirà per pagare il conto.
Gli Stati Uniti hanno anche loro enormi problemi, che ci pare si possano sintetizzare nella Presidenza debole, ondivaga di Obama, almeno negli aspetti che sono per noi più evidenti e più importanti: la politica estera. L’Italia però è messa peggio e forse non è un caso che sia anche lo Stato economicamente più debole.
Siamo schegge impazzite, dove ciascuno tira in una direzione diversa, dove sia esso individuo sia gruppo non sa che cosa voglia e dove sia diretto l’altro. L’individualismo è certamente una nota caratteristica degli Italiani, ma siamo ormai giunti al parossismo perché manca un’idea di Italia, un minimo comune multiplo, un progetto comune.
In termini amministrativi, ciò si traduce nel fatto che i Comuni, da un lato, non sanno quali siano i reali bisogni dei cittadini, e dall’altro ignorano quali siano le necessità delle Regioni e dello Stato ed in ogni caso hanno esigenze diverse da quelle di questi altri corpi dello Stato. E viceversa. Come in Europa, manca anche da noi la risposta alla domanda di quale Italia si voglia, che Nazione si immagina e quale direzione le si debba far prendere per svilupparsi e migliorarsi.
In questo “libera tutti”, mancando una forte idea identificante ed unificante, oltre che condizioni favorevoli oggettive, ecco che i più capaci, non trovando sbocchi ed un habitat adatto a crescere, emigrano, siano essi individui o aziende, impoverendo l’humus nazionale, necessario a fare più grande la Nazione. Ecco allora che, al di là delle parole, tutti i Governi che si sono succeduti, continuano a riprodurre la medesima politica economica fallimentare fatta di tasse e zero tagli effettivi, ecco che emerge un personaggio fatuo come Renzi, che è espressione, ci piaccia o meno, dell’Italia di questi tempi.
L’Italia di Renzi non sa immaginare un proprio futuro che possa coinvolgere la maggior parte degli strati sociali e questo si riflette nella (non) azione del Governo, nella mancanza di un disegno strutturale ed economico.
In un quadro di questo genere, ecco che vengono proposte riforme tanto per dire di averle fatte, ma che sono e risultano slegate fra di loro, che affrontano solo alcun parti (pensiamo alla frammentaria riforma della Costituzione), senza tenere conto e senza voler cambiare complessivamente il quadro generale, ciò che solo potrebbe dare un indirizzo al Paese, rischiando di portare a conseguenze più nefaste di quelle che comunque potremmo attenderci continuando di questo passo.
Questo perché non abbiamo una risposta soddisfacente alla domanda “quale Italia vogliamo?”
Anche il mondo imprenditoriale riflette questo stato di cose. Una volta c’erano i Bialetti, i Pirelli, gli Agnelli, i Falck e tanti altri con importanti realtà che generavano prodotti, ricchezza per sé e per l’Italia ed occupazione. Ora si inventano servizi e non si costruiscono più fabbriche o quasi e spesso sono solo a carattere locale, quindi non iniziative di largo respiro, c’è un fiorire di start-up, cosa di per sé positiva, ma non ne vediamo, per quanto è a nostra conoscenza, una che possa diventare una Apple, oppure Google o FaceBook del futuro, anche perché l’humus in cui si muovono non è favorevole, se si pensa, notizia di questi giorni, che magari i titolari di una start-up (Appeatit) devono indebitarsi non per rinforzare la propria azienda in fasce, ma per pagare l’I.N.P.S. .
Ora è possibile che i neo-imprenditori abbiano sbagliato a stilare il loro business plan non considerando questo aspetto, però anche il fatto che su € 60.000 di budget previsto, debbano pagarne 1/5 senza aver generato alcun reddito per soddisfare l’I.N.P.S., ci pare una spia di una situazione degenerata. Altro problema è la mancanza di capitali di rischio, perché pur avendo i denari, molti imprenditori, stante la situazione economica, considerando il contorno in cui operano e, soprattutto, mancando un’idea di Italia verso cui protendersi, non investono né nella propria attività, né tanto meno in altre, né, magari, appunto in start-up.
Insomma, hanno perso il coraggio di rischiare, caratteristica propria e peculiare di un vero imprenditore. Anche chi scrive ha potuto toccare con mano questo stato di cose. Così la nostra Italia – sembra pure, inspiegabilmente, con rassegnazione – prosegue il proprio declino.
Senza G.P.S. o almeno una bussola di antica memoria, è difficile navigare nelle perigliose acque della globalizzazione.
Fabio Ronchi