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venerdì, 15 Novembre, 2024

Putin e il regime change, Biden gioca d’azzardo

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di Gabriele Rizza

Un dittatore omicida, un delinquente puro che sta conducendo una guerra immorale contro il popolo ucraino”, nonchécriminale di guerra”, così la scorsa settimana Joe Biden ha definito Vladimir Putin alla vigilia della quarta settimana dallo scoppio del conflitto russo ucraino. Stile di comunicazione tipico della politica estera degli Stati Uniti da vent’anni a questa parte: Saddam Hussein in Iraq, Bashar al-Assad in Siria o Slobodan Milošević in Serbia, tutti alla guida dei cosiddetti Stati canaglia, tutti caduti dopo un intervento diretto della NATO per emergenza umanitaria, tranne al – Assad, “sopravvissuto” politicamente grazie all’intervento russo che ha rovesciato le sorti di una guerra che volgeva a favore dell’Isis. Dietro la moralità delle parole di Joe Biden si potrebbe celare una delle possibili strategie degli Stati Uniti per uscire vincitore dal confronto con la Russia senza irrompere con il proprio esercito – o con quello di un Paese della NATO – in Ucraina. Secondo il New York Times tutte le volte che i Presidenti degli USA hanno definito criminale di guerra un leader di un Paese rivale, è stato perché si puntava ad un cambio di regime, si personalizzava il conflitto per ottenere il consenso dell’opinione pubblica nazionale e internazionale – o almeno si tentava di far avvertire come unica via il conflitto armato – e mettere “psicologicamente” in secondo piano che quell’intervento fosse un’aggressione ad uno Stato sovrano, nascondendo gli interessi politici e strategici di una super potenza quali sono gli Stati Uniti dietro la bandiera della giustizia e della difesa dei diritti umani. Personalizzazione del conflitto che ha una sua logica anche sul fronte interno del Paess aggredito, come a dire che il problema è solo quell’uomo al comando e non il suo popolo o la gestione delle risorse energetiche del Medio Oriente. Con Vladimir Putin siamo all’ultimo stadio della strategia del cambio di regime. Prova ne è l’intervista rilasciata a Insider dal portavoce del dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Ned Price: Putin ha dimostrato che è l’interesse personale a motivarlo. Ecco perché, per la prima volta, lo abbiamo sanzionato personalmente. Abbiamo perseguito gli oligarchi russi e i suoi compari per fare pressione su di lui. Non solo sulla sua economia, ma su di lui personalmente”, così si spiega il congelamento dei beni mobili e immobili dei cosiddetti oligarchi russi – stessa categoria sociale che se dalla parte “giusta” noi chiamiamo “filantropi”. Cambio di regime che questa volta gli Stati Uniti vorrebbero fosse un fatto tutto interno alla Russia, solleticando il vertice e la base della società russa: da una parte gli oligarchi con il congelamento dei beni e la perdita di miliardi di euro al giorno per via delle maxi sanzioni, dall’altra la classe media, quella che per studi, turismo e stili di vita è più vicina allo stile di vita occidentale con il ritiro dalla Russia delle società come Facebook, Netflix, Mc Donald’s, Pornhub e l’esclusione dalla vita sportiva e culturale dei russi. Insofferenze che potrebbero acuirsi se la guerra in Ucraina si trasformasse in una nuova Afghanistan, da guerra lampo e guerriglia, con il fardello delle bare dei giovani soldati russi e una situazione economica sempre più difficile. Si potrebbe leggere anche in questa prospettiva la corsa all’armamento dell’esercito ucraino:dall’elezione di Joe Biden del 2020 ad oggi – non è una novità che lo Zio Sam armi da anni l’Ucraina – sono stati spesi 2 miliardi di dollari dal Congresso degli Stati Uniti per rifornire Kiev di carri, cannoni anticarri, aerei e munizioni. Del resto, Ned Price, durante la sua intervista, ha ben spiegato che sanzioni e armi servono a indebolire il potere contrattuale russo e a rafforzare quello ucraino. Una vittoria russa a metà, se non un nulla di fatto, potrebbe mettere in bilico i vent’anni di Putin al Cremlino. Da qui la sfida nella sfida: la reazione del popolo russo alle privazioni e difficoltà potrebbe essere l’arma vincente o un boomerang per Jo Biden. Il rischio è altissimo, la Russia è da secoli un impero, non è il Cile, non è l’Iraq, non è l’Afghanistan o la Serbia… come se poi in questi paesi gli Stati Uniti avessero lasciato pace e prosperità.

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