di Mario Alberto Marchi
“Motore di sviluppo” e “catalizzatore della ripresa”: così il Presidente del Consiglio Draghi e il nuovo ministro Renato brunetta, hanno previsto debba essere la nostra Pubblica Amministrazione, insomma un cardine dell’uscita dalla crisi.
L’hanno affermato, presentando il quadro di accordi specifici con le organizzazioni sindacali. Dentro ci sono rinnovi contrattuali, ritocchi salariali, tutela dei diritti sindacali e del rapporto di lavoro nello smart working, con formazione. Sono anche previsti nuovi contratti integrativi e cosiddetto welfare contrattuale, sostegno alla genitorialità e sgravi fiscali. Bene, ci mancherebbe, anche perchè il tutto è finalizzato ad un meglio funzionamento di tutta la macchina burocratica che va dai servizio dello Stato a quelli dei Comuni, ma qualcosa andrebbe spiegato, perchè nella narrazione collettiva di un Paese in grande difficoltà di conti, la Pubblica Amministrazione è vista come il buco nero.
È questa la realtà? Vediamo. In verità, la Pubblica Amministrazione italiana è una di quelle che pesano meno in tutta Europa, sotto il punto di vista del personale impiegato. L’ultimo studio disponibile colloca il nostro Paese al quart’ultimo posto, con il 14% dei lavoratori sul totale nazionale degli occupati. I paesi scandinavi hanno un peso che arriva a oltrepassare il doppio, con un 39% sul totale degli occupati delle Svezia. La Francia fa registrare il 22%. Più o meno la nostra percentuale la fa registrare la Germania, dove però il personale sanitario non viene calcolato, perchè gestito con contratti privati. Inoltre, secondo i report più aggiornati siamo anche il Paese che ha ridotto maggiormente il numero dei dipendenti pubblici negli ultimi dieci anni. Ma allora perchè si considera la PA come un’ingombrate zavorra? Qui viene il bello, anzi il brutto: esclusi i costi per il numero del personale e quelli delle retribuzioni, non restano che quelli di gestione. Ed è qui che si toccano livelli incredibili.
La CGIA di Mestre ci dà il bilancio dei cosiddetti “costi intermedi” che vanno dalla cancelleria, alle spese di energia, a quelle di gestione degli immobili, a quelle ancora dei lotti di farmaci usati negli ospedali: sono i più alti in tutta Europa, con un’incidenza del 5,5% sul PIL. Germania e Francia non arrivano al 5%. Ragionando in soldi, questi costi arrivano a oltre 90 miliardi di euro. Su questo, sarà il caso che il nuovo governo metta sì la mano in tasca, ma per tirarne fuori un bel paio di forbici.