di Mario Alberto Marchi
A memoria di italiani non si ricorda un governo che non abbia a promesso, annunciato, progettato di snellire la Pubblica Amministrazione. A parole tutti vogliono uno Stato meno pesante, ma nei fatti paiono incontrarsi ostacoli insormontabili. Eppure che la pubblica amministrazione è chiaramente una macchina enorme che drena risorse.
Facciamo un po’ di numeri. I dipendenti pubblici sono circa tre milioni. Solo nella pubblica istruzione ne è impiegato un terzo. In totale gli stipendi dei dipendenti pubblici – tra Stato centrale e amministrazioni locali – ammontano a qualcosa come 160 miliardi l’anno. Una spesa che ci si augurerebbe essere un investimento, ma pare non essere proprio cosi’, visto che crea una mostruosità di, chiamiamole cosi’, spese accessorie.
Si stima che solo la gestione dei rapporti con la pubblica amministrazione costi al cittadino ( per la gran parte agli imprenditori) 57 miliardi e che la bilancia tra efficienza e spesa, faccia registrare un dato negativo di circa 14 miliardi l’anno.
Se poi aggiungiamo la cinquantina di miliardi di debiti che la pubblica amministrazione ha nei confronti dei privati, abbiamo quasi raddoppiato il costo dell’intero apparato: 300 miliardi l’anno.
Vi è venuto il mal di testa? Fate un respiro profondo, perché non è tutto. Fin qui abbiamo parlato di numeri, ma ora si passa alle osservazioni e alle considerazione- in senso lato – politiche.
Innanzi tutto diciamo che il nemico non è lo Stato in quanto tale, ma proprio il modo di concepire la macchina pubblica.
C’è una retorica diffusa secondo la quale una parte del paese sarebbe efficiente , virtuosa, nella gestione della pubblica amministrazione e un’altra costituirebbe il carrozzone che vive alle sue spalle. Quindi il rimedio sarebbe la tanto discussa autonomia delle regioni. La realtà sembra essere un filo diversa, purtroppo.
I numeri ci dicono infatti che le regioni che già godono di autonomia notevole- quelle a statuto speciale, in termini di pubblica amministrazione non fanno alcun risparmio, semplicemente replicano a livello locale la burocrazia nazionale. Questa è una brutta sorpresa, perché ci dice che il meccanismo è talmente centrale nella vita del Paese, che non si riesce a individuare un’alternativa: quasi che ormai siamo diventati fisiologicamente una nazione fondata sulla macchina pubblica.
Ma la domanda è, non c’è soluzione e o non c’è la voglia di trovarla?
Dare una risposta è scivolosissimo, perché si rischia di farsi prendere dalla demagogia e da un clima di rivendicazione ormai diffuso, ma poco ragionato, che porta a nulla o quasi: per dirla con una battuta, tutti si lamentano della pubblica amministrazione, ma poi hanno almeno un famigliare che ci lavora, benedicendo quel posto fisso, che più fisso non si può.
Ecco, cominciamo da qui.
Nel 2019 si sono stappate bottiglie, festeggiando con grande fierezza una presunta nuova severità nei confronto di assenteisti e furbetti tra i dipendenti pubblici: circa 500 licenziamenti.
In effetti un aumento vi era stato, visto che fino all’anno prima non si andava oltre i 300 provvedimenti. Del resto andava data una risposta ai filmati di impiegati che andavano a timbrare il cartellino in mutande, per poi tornare a sdraiarsi sul divano di casa.
Peccato che contemporaneamente venissero sbloccate qualcosa come 5000 nuove assunzioni a tempo indeterminato. Dieci volte tante.
Un pozzo senza fondo? Una condizione senza soluzione?
Forse per capire se e quanto si possa invertire la rotta, basta ricorrere ancora una volta i numeri, ma interpretarli in chiave di consenso politico.
Torniamo al dato principale. Sono 3 milioni i dipendenti pubblici.
Mettiamo che – verosimilmente – ognuno di loro abbia in media un famigliare particolarmente grato alla Stato per quel benedetto posto fisso. Traduciamo tutto i termini elettorali e avremo un bacino di 6 milioni di voti.
Alle scorse elezioni politiche hanno votato 37 milioni di elettori.
Possiamo dire che il partito della pubblica amministrazione, può contare a spanne su un sesto dell’elettorato: vale insomma almeno un bel 16%. Roba da terzo partito in Parlamento.
Forse abbiamo trovato la spiegazione. Alla soluzione, meglio non pensarci.