Di Stefano Sannino
Non è certo un segreto che la situazione climatica stia, negli ultimi anni, degenerando sempre di più, ponendo tutta l’umanità davanti una scelta importantissima: ignorare i segnali di Madre Natura e perseguire gli interessi geopolitici delle Nazioni, oppure ascoltare il primordiale richiamo della Terra e cambiare le nostre abitudini?
Fin dagli albori della nostra razza, intesa certamente come umanità e non come “razza ariana” o “bianca”, ci siamo scoperti inseriti in un contesto ambientale e naturale assolutamente indipendente da noi, ma che ci influenzava direttamente tanto nei nostri modi di vivere quanto nella nostra sfera culturale. Se però in principio la nostra sopravvivenza come umanità, dipendeva direttamente da questa fantomatica “Natura” nella quale ci trovavamo immersi, con l’avanzare della tecnica, le condizioni della nostra sopravvivenza si sono spostate dal campo naturale al campo artificiale. Questo cosa significa? Molto semplicemente, significa che l’uomo ha raggiunto una indipendenza tale da potersi permettere, almeno teoricamente, di non essere più condizionato dai cicli naturali, dall’ambiente, dall’ecologia e da tutte quelle condizioni di vita che prima costituivano lo scandire della nostra esistenza. Temporali, stagioni, vita e morte sono stati fatti decadere dalla condizione divina a cui i nostri antenati li avevano innalzati, poiché non più condizioni sufficienti a modificare il nostro stile di vita.
Vale a dire che, a differenza di quanto accadeva in passato, le coltivazioni umane non sono più in stretta balia delle condizioni atmosferiche, poiché l’avanzamento tecnico della nostra specie permette di coltivare cibi geneticamente modificati, per essere più forti e più resistenti. Altresì, abbiamo scoperto la coltivazione in serra, la coltivazione idroponica e numerosi tanti altri strumenti che ci fanno avere la nostra frutta e la nostra verdura preferite anche fuori stagione.
E con il migliorare delle nostre condizioni di vita, con il riempirsi delle nostre pance di cibi esotici e deliziosi, abbiamo scoperto di avere sacrificato una importantissima fetta della nostra umanità per il bene del progresso. Mentre una piccola parte di popolazione mondiale ingrassava e sprecava la maggior parte del cibo sul pianeta, la stragrande maggioranza delle persone moriva di fame e di sfinimenti fisici. Mentre l’Occidente “civilizzato” richiedeva enormi quantità di carne per sopravvivere, ci siamo resi conto che gli allevamenti intensivi producevano un’impronta ecologica così forte da diventare quasi irrimediabile. E con gli anni, la situazione non ha fatto che peggiorare, andando a creare non solo un crimine contro la Terra, ma un crimine contro l’umanità stessa, in quanto il benessere di pochi è stato fatto valere come causa sufficiente per sacrificare il benessere di tutti. Fame, povertà e guerre assillano la maggioranza della popolazione mondiale, mentre una stretta e fortunata minoranza si crogiola mangiando cibi costosi e prelibati o indossando gioielli fatti con pietre preziose provenienti dai Paesi del Terzo mondo o bellissimi monili di avorio per creare i quali, gli elefanti rischiano oggi l’estinzione.
I progressi scientifici e tecnici hanno migliorato le nostre condizioni di vita, ma ci hanno completamente emarginati dal vero e reale ambiente in cui noi, da sempre, viviamo.
Oggi, come esseri umani, dobbiamo porci una domanda importantissima, che probabilmente influenzerà non solo il nostro futuro, ma anche quello di tutta la Terra: siamo diventati davvero così inumani da poter ignorare le grida del pianeta che ci ospita? Siamo davvero disposti a rinunciare alla nostra casa?
È innegabile che il progresso tecnico abbia favorito enormemente il nostro proliferare sul pianeta Terra e che è proprio al progresso che dobbiamo le nostre condizioni di vita relativamente agiate e “comode”. Ma è nostro compito, come animali pensanti, cercare di comprendere quale sia il punto fino al quale siamo disposti ad arrivare per favorire noi stessi a discapito di tutto l’ecosistema che ci ospita.
Forse, bisognerebbe riscoprire il legame primordiale che ci unisce alla Terra, alla Natura, ai cicli della vita e della morte, riallacciandoci ad una enorme e planetaria catena dalla quale ci siamo tolti per dominare inesorabilmente su tutto. E non importa quanto sia piccola ed insignificante ciascuna azione di ognuno di noi, perché alla fine ogni goccia va a creare il mare. Sia in positivo, che in negativo, l’essere umano moderno deve comprendere che ogni scelta, ogni azione, ogni gesto, hanno delle ripercussioni sull’ambiente che lo circonda e si sommano a ciascuna azione di ogni altro suo simile. Così, solo apprendendo questa consapevolezza, l’essere umano potrà forse invertire la drammatica situazione che lui stesso ha creato. Solo così, oltre ai benefici che questo comportamento produrrebbe per tutto il pianeta, l’uomo sarebbe capace di riscoprire la bellezza di un tramonto, la magia della rugiada fresca sulle foglie al mattino, la musica che si cela nel
barrito di un elefante, la poesia nascosta dal canto degli uccelli. Dopotutto, ciò che ci rende veramente umani, prima di qualunque progresso o avanzamento scientifico, è proprio la capacità di trovare magia, poesia, arte, musica in tutto ciò che ci circonda; e non mi vergogno a dire che è proprio questo di cui l’essere umano e la Terra hanno più bisogno.