di Mario Alberto Marchi
Pur con i limiti dettati dalle precauzioni post covid, a Trento si è aperto il più interessante e articolato appuntamento con la divulgazione delle politiche economiche. Un Festiva Dell’Economia che non è sfuggito all’ormai sentita questione della sostenibilità applicata alla produttività.
Quando un tema simile corre sulla bocca di tutti, a volte poco supportato da informazioni concrete, il sospetto che sia ormai divenuto “modaiolo” sorge.
La richiesta di un’economia che tenga conto di una serie di parametri di sostenibilità, non è più eludibile per un motivo molto concreto: le ripercussioni sulla spesa collettiva che un sistema produttivo incontrollato, provoca. Il risultato è un’economia lorda, alla quale vanno sottratti costi di “rimedio” enormi.
Insomma, non si parla di scrupoli etici, ma di convenienza nei conti.
Innanzitutto vi sono i costi in termini di salute pubblica: Greenpeace e il Center for Research on Energy and Clean Air hanno pubblicato un rapporto sui costi dell’inquinamento atmosferico da combustibili fossili.
Si stima che l’inquinamento atmosferico abbia un costo economico di 2,9 trilioni di dollari, pari al 3,3 per cento del PIL mondiale. Nel 2018, il rapporto stima che fosse responsabile tra l’altro di 1,8 miliardi di giorni di assenza lavorativa. Secondo il rapporto, i congedi per malattia che costano 100 miliardi di dollari l’anno.
In Italia, il costo dell’inquinamento atmosferico è di 61 miliardi di dollari. Appena nel 2013 era stato di 53, quindi con un aumento medio di 1,3 miliardi ogni anno.
A onor del vero, va detto che per la metà, il danno è imputabile alle abitudini d vita, ma il restante 50% di cui è responsabile il sistema produttivo pare non riesca a trovare argine.
Le cifre da capogiro sin qui considerate, riguardano “solo” i costi sanitari, diretti e indiretti, legati al consumo energetico. C’è poi tutto un altro capitolo, relativo ai costi di bonifica e ai danni al territorio, ad esempio in termini di squilibrio idrogeologico i cui effetti sono sotto i nostri occhi ormai in occasione di ogni evento meteorologico di una certa entità.
Tra le cause, anche la cosiddetta impermeabilizzazione dei terreni, data anche dal numero esorbitante di capannoni industriali edificati e non utilizzati; nella sola regione per la quale sia stata effettuata una stima, cioè il Veneto, ve ne sarebbero 11.000.
Come nostra abitudine, concludiamo provando a immaginare i rimedi. Se da un lato è evidente che manca una sensibilità, dall’altro manca l’informazione. Se sul fronte delle sanzioni si potrebbe provare elaborare ad esempio un “codice di sostenibilità” da rispettare, non è nemmeno pensabile riversare tutto il peso sulle imprese che sarebbero forse più incentivate con un sistema di defiscalizzazione per merito.
C’è poi un aspetto determinante: quello delle infrastrutture. I dati spaventosi che abbiamo riportato riguardano in larga misura il sistema dei trasporti industriali che deve essere al più presto sostenuto con reti di collegamento moderne, soprattutto su rotaie e con reti locali di approvvigionamento con distanze contenute; e qui è lo Stato che ci deve pensare.