di Susanna Russo
Emmanuel Macron 27,6%, Marine Le Pen 23, 41%: sono 4 i punti che separano l’attuale presidente francese dalla sua rivale.
24 Aprile: questo il giorno in cui si decideranno le sorti della Francia per i prossimi 5 anni, anche se oramai le sorti politiche di ciascun Paese sono in continuo divenire.
Nulla di sorprendente al primo turno, se non per un Mélenchon più apprezzato del previsto, tanto apprezzato da aggiudicarsi il terzo posto, e uno Zemmour che nelle ultime settimane ha subito un crollo non da poco.
Una campagna elettorale zoppicante, ostacolata soprattutto dal conflitto Russia – Ucraina, circostanza che ha sfavorito tutti i candidati, fatta eccezione per il Presidente tutt’ora in carica che, quando vincerà, sarà anche grazie al fatto che rappresenta un elemento rassicurante in tempi di guerra, in tempi in cui “i colpi di testa”, sono banditi. E allora il Presidente che in felpa e pantaloni della tuta, stile Zelensky, si adopera per tentare di rimettere insieme i cocci di un vaso che si è frantumato da tempo, dà un po’ di sicurezza in più di un outsider.
Il vero outsider di queste presidenziali è Èric Zemmour, giornalista, saggista ed opinionista, con questa campagna elettorale è entrato trionfalmente, e rumorosamente, nel panorama della politica attiva e, a sentirlo parlare, sembra che questo sia solo l’inizio. E se Zemmour, rappresentante della destra dei duri e puri, inizia la sua scalata, la sinistra moderata evapora, sarà che non c’è più posto per chi sta in mezzo, eppure, a quanto pare, c’è sempre posto per Macron.
Adesso si aspetta il dibattito conclusivo, la sfida in diretta TV che, 5 anni fa, ha visto protagonisti gli stessi candidati di ora e, mentre uno trionfava, l’altra sprofondava. Non sarà il caso di queste elezioni, la Le Pen ha migliorato e raffinato la sua dialettica e per alcuni versi attua una politica più moderata, a costo di perdere una piccola, ma significativa, parte di elettorato, lo zoccolo duro e testardo della destra francese. Sempre lei però, anche secondo il parere degli analisti, si guadagnerà una buona parte degli elettori rimasti delusi dalla sconfitta di Zemmour.
Insomma, grande fervore per queste elezioni, e anche non poco disordine; la sera dei risultati del primo turno, a Lione, 500 persone hanno marciato cantando slogan anticapitalisti e antifascisti, ma la vicenda non ha avuto molta risonanza, se i manifestanti fossero stati di estrema destra forse ne avrebbe avuta di più.
I nostri politici non mancano di far saper la loro: Renzi spiega come votare, o convincere a votare, Emmanuel Macron, Salvini sostiene la collega Marine, Letta esorta a non votare la nipote di Jean-Marie Le Pen se non si vuole che l’Europa si frantumi.
La leader del Rassemblement National invita a fare una scelta di civiltà, quello di En Marche! lancia un appello perché vengano sbarrate le porte all’estrema destra, Mélenchon invita a non regalare neanche un voto alla prima, Zemmour si schiera contro il secondo e, nonostante le divergenze di vedute con la Le Pen, consiglia di direzionare i voti verso quest’ultima.
Due le settimane di attesa, quasi certa la vittoria per colui che si appresterebbe ad inaugurare il suo secondo mandato.
Uno il dato mancante: l’astensionismo sale del 4%, supera così il 26%. L’astensionismo è sempre dietro l’angolo, in questo caso in Francia, ma anche in Italia, soprattutto in Italia, soprattutto dopo le ultime amministrative. L’astensionismo racconta più di qualsiasi altro punteggio, racconta di cittadini che non si interessano, se ne stanno in disparte, non scelgono. Il dato che invece continua a mancarci è la percentuale di coloro che votano superficialmente e con poca consapevolezza.
Allora i risultati delle presidenziali francesi possono non riguardarci ed interessarci più di tanto, ma il tasso di coloro che vivono con disinteresse e passività “l’arte attinente alla città-stato”, devono farlo e, spesso e volentieri, è proprio da questi che è saggio ripartire.