Nel mondo antico greco-romano erano diffuse varie pratiche magiche, tra le quali le cosiddette defixiones, che hanno avuto una diffusione temporale piuttosto ampia dal V secolo avanti Cristo al V secolo dell’era volgare. Il nome deriva dal verbo “defigere”, che significa letteralmente legare, fissare, infiggere ed erano una sorta di maledizione scritta. Lo scopo di tale pratica magica era nella maggior parte dei casi quella di nuocer ad un avversario e, pertanto, lo studioso Allondet le ha classificate in base all’oggetto del contendere in cinque tipi: giuridiche, erotiche, commerciali, agonistiche, e contro i ladri e le maldicenze. Eccetto l’ultimo gruppo più generico di protezione contro i ladri, tali maledizioni mirano a rendere inoffensivo un avversario in una qualche tipo di disputa, sia che si tratti di un concorrente commerciale, un testimone in tribunale, un corteggiatore o addirittura un marito di una donna o un concorrente in una contesa sportiva.
La maledizione è innanzitutto un rito ed esistono dei papiri che lo descrivono in maniera particolareggiata nelle sue diverse varianti, risultando a volte anche di una certa complessità. Nella sua essenza il rito consiste nel trascrivere una formula di maledizione su un supporto, da seppellire successivamente in un luogo apposito. La formula va recitata mentre si incide, e l’incisione sembra quasi un rafforzamento per assicurarne l’efficacia. Quelle che sono pervenute fino a noi sono delle iscrizioni su lamine di piombo, ma potevano essere su papiro o cera, materiali che non sopravvivono al tempo.
Nelle iscrizioni il termine “legare” è accompagnato dall’aggettivo “in basso” che ha lo scopo di rafforzare il verbo indicando l’atto di immobilizzare, chiedendo per esempio di immobilizzare la lingua di un testimone o le membra di un atleta, ma a questo significato si accompagna il concetto di “dedicare” ovvero l’invocazione di una divinità affinché agisca contro l’avversario. L’utilizzo di tale termine non è casuale perché le divinità a cui si rivolge il rito sono quelle sotterranee. Nella magia c’è un rovesciamento del senso comune, così come la religione si rivolge agli dei del cielo così la magia si rivolge alle potenze infere.
Da ciò l’importanza del nascondimento della lamina che normalmente veniva nascosta in tombe, pozzi, anfratti, sorgenti o gettata in mare. In poche parole si cercava di portarla più vicino possibile alle potenze che si evocava in aiuto. Il particolare uso delle tombe per il seppellimento aveva lo scopo di usare l’anima del morto come messaggero, e si sceglieva un defunto qualsiasi senza speciali caratteristiche al contrario di altre operazioni magiche ove si cercava la tomba di morti in maniera violenta o prematuri. I ritrovamenti archeologici di tavolette di defissioni sono state fatte in varie tombe che non avevano nessun particolare che le rendesse diverse dalle altre.
Altro motivo del seppellimento era quello di non farle trovare, perché l’eventuale ritrovamento della tavoletta e la susseguente distruzione avrebbe causato la perdita di efficacia della maledizione come leggiamo nella letteratura sui primi santi cristiani che si ritrovano ad avere a che fare ancora con la magia del mondo pagano.
Alcune defissioni più elaborate hanno traccia di un chiodo che infilzava la lamina a rafforzare il concetto di legare l’avversario o deformate ad indicare anche fisicamente l’azione a cui doveva essere sottoposta la vittima della maledizione, il tutto sfruttando il concetto di similia similibus ovvero il simile richiama il simile.
In un variante del rituale, trovato scritto su un papiro sopravvissuto ai secoli, si descrive la costruzione di una statuina su cui incidere la maledizione, trascrivendo su ogni parte del corpo un nome di un demone specifico che si sarebbe occupato di danneggiare la parte a lui prescritta. Tale rituale non doveva essere molto diffuso, perché doveva risultare piuttosto costoso. Per la realizzazione di una maledizione ci si affidava ad un “addetto ai lavori” che chiaramente si faceva pagare in base alla difficoltà. I ritrovamenti di statuine risultano più rare rispetto alle tavolette di cui al contrario si possiedono in un buon numero.Per chi volesse visionare alcuni di questi manufatti può visitare la Sezione Epigrafica del Museo Nazionale Romano presso le Terme di Diocleziano dove sono custoditi i ritrovamenti effettuati nello scavo della fontana di Anna Perenna, ritrovata nel 1999 durante lo scavo di un parcheggio nel quartiere Parioli a Roma. Anna Perenna è una antica divinità romana risalente a tempi preistorici di cui si conosce poco che si festeggiava alle idi di marzo, l’antico capodanno romano. Il suo nome potrebbe significare nutrimento perenne e probabilmente risulta legata a una qualche forma di culto agricolo come auspicio di abbondanza. Nella fontana tra tante tavolette, sono state trovate alcune statuine, e così in una visita si può avere idea completa delle defixones.
di Vito Foschi