di Mario Alberto Marchi
No, non è andata bene. Il dato del pil del terzo trimestre, sopra le aspettative, non è sintomo di un’economia che ritrova in fretta salute. È piuttosto un rimbalzo tanto più sensibile, quanto era stata la crisi dei passati tre mesi.
D’accordo, il Pil al 16%, contro le previsioni del governo di un 13% e di Bankitalia che non andava oltre il 12%, è segnale che c’è vita nella produttività e nei consumi, ma basta un po’ di sano realismo per guardare con preoccupazione al confronto con lo stesso periodo dello scorso anno, quando il Prodotto Interno Lordo era risultato più alto di poco meno di 5 punti percentuali.
Se poi si guarda all’occupazione, scopriamo che in tre mesi abbiamo lasciato sul campo 330.000 posti di lavoro, rendendo davvero poca cosa il misero recupero di 6000 unità tra agosto e settembre. Non ci siamo, non ci siamo proprio.
Vero che tutti i paesi dell’area dell’euro nel secondo trimestre del 2020 avevano sofferto spaventosamente, ma vero anche che sarebbe bastato guardare ad alcune differenze per capire come aggiustare il tiro della politica di sostegno.
Può darci fastidio finchè vogliamo l’invadente leadership europea della Germania, ma il fatto che l’economia tedesca sia stata quella con le minori perdite è dovuto semplicemente a come la crisi è stata affrontata.
Subito oltre 150 miliardi di aiuti, poi garanzie pubbliche per altri 800 miliardi alle quali il sistema bancario ha risposto senza giochi di prestigio, quindi un taglio della tassazione per le imprese e dell’aliquota ordinaria dell’IVA di tre punti.
Al contrario, abbiamo un po’ imitato la politica economica francese, protezionistica e con lo Stato sempre pronto a rendersi azionista. Anzi, ci siamo addirittura spinti oltre, inaugurando una stagione di nazionalizzazioni costosissime e fuori mercato.
Ed ecco che il nostro destino e quello dei cugini d’oltralpe è stato del tutto simile, con un tonfo spaventoso nel secondo trimestre (Francia a -13%) e ora un rimbalzo che inebria gli ingenui (+18%).
Certo – tornando al confronto con la locomotiva tedesca – anche la Merkel deve affrontare un grave calo dei posti di lavoro, con una perdita di oltre 600.000 unità, ma con un volume percentuale che è un quinto del nostro e un dato assoluto di 6,4% a confronto del quale il nostro 9,7, invece che farci esultare per il rimbalzo del pil, dovrebbe farci ammettere che stiamo sbagliando direzione.