Dopo l’ok del Senato, il governo di Matteo Renzi ha ottenuto la fiducia anche alla Camera con 378 sì, 220 i contrari, un astenuto, 30 gli assenti.
Abbiamo una sola chance da cogliere qui e adesso – dice – fare l’unica cosa che possiamo fare, cambiare profondamente il nostro Paese, il sistema della P.A., quello della giustizia, del fisco, cambiare profondamente nella concretezza la vita quotidiana di lavoratori e imprenditori”. Un programma che vorrebbe tanto sintetizzare in tre tweet, se non fosse che i 140 caratteri concessi mal si conciliano con la mole di cose che vuole dire e soprattutto pensa di fare.
Ma dopo il discorso shock tenuto al Senato Renzi promette di volersi mantenere sul “bon ton istituzionale”, provando “vertigini e stupore” per l’onore che gli viene concesso di sedere in un luogo in cui è stata fatta la storia del Paese. Ma dove ora si dovrà aprire un nuovo capitolo in cui, auspica, sia possibile “tentare di fare uno schiocco delle dita tutti insieme, come la Famiglia Addams”.
Ma è la stessa Aula che gli riserva durissimi attacchi, le provocazioni dei Cinque Stelle. Lunga invece l’ovazione per l’ingresso di Pier Luigi Bersani e per l’abbraccio tra l’ex segretario del Pd e l’ex premier, Enrico Letta, che si siede al suo posto senza degnarlo di uno sguardo. Anche lui accolto da un caloroso applauso dell’emiciclo. Renzi non si fa cogliere di sorpresa: si alza per abbracciare l’ex segretario e durante la sua replica non manca di ringraziare il suo predecessore “in modo chiaro ed inequivoco”. I risultati del voto diranno poi che, anche se sul filo, Letta avrà battuto sulla fiducia Renzi per un solo numero.
Sempre in Aula, il neo premier cadrà nel primo tranello dei Cinque Stelle: crede di poter trovare una ‘sponda’ nel vicepresidente della Camera grillino Luigi Di Maio e gli invia un biglietto in cui, incurante del trattamento già riservato a Bersani, tenta un provocatorio aggancio. “Scusa l’ingenuità caro Luigi. Ma voi fate sempre così? Io mi ero fatto l’idea che su alcuni temi potessimo davvero confrontarci. Ma è così oggi per esigenze di comunicazione o è sempre così ed è impossibile confrontarsi?”. Il Cinque Stelle gli risponde picche e poi, se non bastasse, pubblica il ‘carteggio’ su Facebook.
Un attacco che segue allo ‘sberleffo’ dei Cinque Stelle oggetto di un nuovo battibecco con la presidente Boldrini che li ferma quando arrivano a definire il premier e il neo ministro del Tesoro “due figli di troika”. Renzi si toglie però il suo sassolino dalle scarpe e ribatte: “Quando ho perso alle primarie con Pierluigi Bersani lui non mi ha espulso e il fatto che Bersani sia qui, avendo idee diverse dalle mie su molte cose, è un segno di stile e rispetto non personale ma politico. Siamo il Pd”.
I pentastellati voteranno, ovviamente, il loro no alla fiducia. Così come Forza Italia. Il democratico Pippo Civati conferma il suo voto, anche se molto polemico: “Sognavo anche io che la nostra generazione arrivasse fin qui. Ma con le elezioni e non con una manovra di Palazzo”. Non è il solo, tuttavia, dentro il partito a storcere il naso. “Ho espresso il mio voto di fiducia al governo esclusivamente per disciplina di partito e di gruppo” dice, ad esempio, il lettiano Marco Meloni. Anche i ‘popolari’: assicurano la fiducia ma, avvertono: “La velocità è necessaria anche in politica. Tuttavia non è inutile, mentre si corre, sapere dove si vada”.
La Critica